lunedì, Febbraio 24, 2025
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Carema, una fiamma da proteggere. dI Matteo Carlucci

Sulla strada che porta dal Piemonte alla Valle d’Aosta c’è un piccolo comune, al confine, dove resistono, abbarbicate su un anfiteatro naturale pedemontano, vigneti di nebbiolo. Siamo a Carema. Nelle versioni più veraci le viti sono ancora allevate secondo la tradizione locale, condivisa anche in territorio valdostano, delle topìe: vigneti alloggiati su terrazzamenti di muretti a secco, riempiti con suoli di materiale morenico. Come maestose impalcature spuntano i pilùn, colonne tronco-coniche in pietra, che si collegano al muretto sovrastante tramite assi di castagno, lungo le quali si dilungano i tralci delle piante di nebbiolo. Oltre alla funzione di sostegno, le grosse colonne accumulano calore durante le giornate di sole, per restituirlo gradualmente nelle fresche notti. 

Carema è una denominazione falcidiata dagli effetti di uno spopolamento che ha portato i contadini a muoversi verso i grandi centri, le industrie, le fabbriche, le grosse aziende. C’era la prospettiva di uno stipendio sicuro, per contro a dure ore di lavoro in vigneti “eroici”, dove le macchine hanno vita difficile se non impossibile. E così oggi si contano una ventina di ettari vitati a Carema, contro i 120 degli inizi del 1900. Ma già al tempo dell’assegnazione della DOC, nel 1967, erano meno di 40. Questi vigneti sono difficili, tutti da lavorare a mano, tanto da chiedersi se ne vale la pena. Ma oggi qualcosa si muove, con diverse piccole aziende, in mano a volenterosi giovani, che riprendono a produrre Carema. Forse giunge quella tanto agognata onda di ricambio generazionale a ridare respiro e vigore a questa denominazione, fino a pochi anni fa nella mani di due soli produttori, Ferrando e la Cantina Produttori Nebbiolo di Carema.

Di quest’ultima qualche tempo fa abbiamo messo le mani su una doppia verticale, delle due versioni prodotte, il “base” e la Riserva. Le abbiamo degustate in compagnia seduti alle tavole dell’Osteria Don Abbondio di Forlì, ovviamente o quasi tra appassionati di questo vitigno, tanto nobile quanto particolare che è il nebbiolo. 

Personalmente adoro il nebbiolo in tutte le sue forme, ma forse nutro un affetto elettivo per quelli delle zone montane, delle coste più impervie, che siano di Valtellina o di Carema, o ancora diverse espressioni dell’Alto Piemonte, tutte capaci di offrire sfumature uniche e spesso ben riconoscibili al calice. 

Per chi ama i nebbioli di Langa l’approccio ai Carema può apparire difficile. La materia è sottile, manca la potenza, l’affondo violento e talvolta austero dei Barolo, e la tensione non è quella dei Barbaresco. La trama è più sottile, setosa, rarefatta, la struttura è più ossuta e nervosa, con vini che si potrebbero annoverare tra quelli “in sottrazione”, anche se qui la sottrazione è operata dalla natura e non dallo stile dei produttori.

Sono vini di fine tratteggio nelle migliori espressioni, ricamati, dalla poetica soave. Se fossero un dipinto avrebbero forse le tinte tenui delle ninfee di Monet, ma la capacità di restituire una luce che neanche nei quadri di William Turner, o di Edward Hopper.

Insomma, ci siamo messi di buona lena a cercare di capire se vale la pena continuare a preservare quel luogo magico che sono i vigneti di Carema, calice alla mano, come sempre.

Carema 2015: vino esemplare, ecumenico, con frutto dolce, di ciliegia e piccole bacche, fresco e col giusto calore a corredo, fine nel tannino, salato ai bordi della bocca, persino floreale nei ricordi. Consolatorio, una coccola.

Carema 2014: l’annata difficile si sente, e il vino a tratti sembra claudicante, ma come tutte le cose imperfette attira la mia attenzione più di quelle in perfetto equilibrio (vedi sopra). Fra note eteree e speziate esce qualche sbuffo di lacca, il tannino pare più scoperto e pungente, il sale esce prepotente nel finale, frammisto a un ricordo di agrume ammaccato. Esco convinto che bevuto da solo, e non in una batteria di confronto, sarebbe uscito dignitosissimo.

Carema 2013: uno dei più controversi, sarà per ‘annata fresca. Selvatico, con note di pellame e liquirizia, erbe aromatiche, frutto scuro. Ha succo, tannino fitto, bocca decisa, che scorre nervosa. 

Carema 2012: millesimo dal maggiore calore, polposo nel frutto rosso, dolce di fragola, accenno di yogurt ai frutti di bosco, poi fiori scuri, carne. Il sorso ha calore, sembra allargarsi al palato ma il tannino e un’acidità a tratti arrembante lo stringono riportandolo a centro bocca. La versione più ammiccante ai cugini di Langa.

Carema 2010: controverso come e più della 2013. Naso polveroso, che pian piano si concede. Nella serata sarà uno dei vini più divertente nella sua evoluzione nel calice. Centellinati si palesano profumi fini, cortecce, scorze di agrumi secche, inchiostro, spezie. Tutto in maniera sottile, come il suo sorso, che sembra lieve, quasi sfuggente, poi ti infilza con la sua tensione e ti lascia lì, mentre ti attraversa il palato come la luce radente delle mattine di autunno, dopo una pioggia che ha pulito il cielo. Detona in un’esplosione di ricordi minuscoli come coriandoli, che colorano il palato senza ferirlo.

Carema 2009: della batteria dei Carema base certamente il più evoluto, ossidativo, ma ancora godibile nel frutto dolce di prugna, nell’agrume che vira al chinotto, nel sorso dolce di frutta scura cotta, con tannino morbido. Autunnale e in via discendente, ma è un bel tramonto da godere.

Carema Riserva 2014: rispetto al base la materia è più completa e integrata, persino polposa al confronto, con uno sbuffo di alcol che a tratti emerge, trainando note scure di spezie, roccia, tabacco, pepe. Succoso di acidità vibrante, tannino fine, ricordo mentolato. Dinamico e sferzante.

Carema Riserva 2013: riprende lo stile del base ma con più pulizia e disponibilità. Il frutto è più centrale e nitido, di ribes e mirtilli rossi, poi incenso e menta si mischiano, con fini spezie. Il sorso è teso come corda d’arco, scocca una freccia di sapore che attraversa il palato e lo segna a lungo.

Carema Riserva 2012: la bottiglia più stonata forse, con frutto maturo e note ossidative, un buon ricordo di agrume rosso, ma il sorso è frenato da un tannino aggressivo, che si aggrappa ai denti, come da legno non integrato, e chiude il sorso. Forse un sughero troppo secco.

Carema Riserva 2011: altro vino interlocutorio, selvatico, quasi scorbutico nell’acidità, con tannino lieve, profumo di foglie cadute a terra, scalpita e grida i suoi sentori come un matto nella piazza del paese. Si perde presto, tornando tra le ombre. Ma dei matti sarei sempre curioso di conoscere la storia.

Carema Riserva 2010: ancora un esempio di leggiadria ed eleganza, un fraseggio di profumi sottili e piacevoli, di confetto, menta, infuso di ibisco, rosa canina, liquirizia in radice. Vola sul palato, sembra quasi non toccarlo per la levità del sorso, eppure così saporito di melograno, così balsamico e finemente sapido, lascia minuscoli tannini soffici come fiocchi di neve che appena pungono la lingua vi si sciolgono sopra. Vino montano, più di brezza che di terra, saldo nel suo temperamento, da perdersi nella sua filiforme eleganza.

Carema Riserva 2009: riprende i toni del pari annata “base” ma in versione ben conservata, con agrume in primo piano, di arancia amara, fogliame autunnale, terra bagnata, accenni speziati e di radici. Vino piacevolmente evoluto anche nel tannino, morbido e rotondo, setoso come il sorso nel complesso, quasi dolce nel ricordo, ma è una dolcezza tutta di frutto scuro. Rassicurante come il fuoco di un camino.

Dovevamo capire se vale la pena la fatica di preservare il territorio vitivinicolo di Carema* ? 

Non sta a noi giudicarlo forse, ma alle mani callose di chi ancora ci spende sogni e sudore, alle gambe che calcano quelle scalette in pietra e alle braccia che sistemano le pietre dei pil§n e dei muretti. 

Noi possiamo godere del risultato di tanta ardimentosa fiamma contadina. E credo che ogni cosa che porti bellezza, che sia capace di trasmettere una tale luce, meriti di essere difesa, preservata e protetta con tutte le nostre forze. Che di fiamme che brucino ad illuminare la vita ce n’è un tremendo bisogno.

 * il Carema DOC è tutelato dal 2014 anche da Slow Food col marchio di Presidio Slow Food.

Matteo Carlucci

Sommelierdellasera

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