lunedì, Febbraio 24, 2025
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Sauternes e dintorni:l’aristocrazia”dolce non dolce”di Bordeaux. Di Duccio Armenio

Non capita spesso di poter assaggiare batterie di vini che hanno sulle spalle una ventina di anni e più. Se poi i vini appartengono all’aristocrazia mondiale dei vini dolci e se molti di questi sono  stelle di prima grandezza che ruotano intorno alla costellazione della botrytis cinerea….beh,  la rarità si unisce all’eccellenza per un evento semplicemente unico.

Grazie agli amici di Sommelierdellasera questa perfetta “congiunzione astrale” ci ha regalato, poche sere fa, una degustazione unica, senza se e senza ma; Daniele, perfetto padrone di casa – come al solito – l’ha definita “storica” e il termine non sembra, proprio questa volta, nient’affatto esagerato.

La buona sorte ha voluto che le bottiglie fossero quasi tutte a posto e il consueto gruppo dei nostri amici – appassionati e competenti – si è sicuramente divertito.  Abbiamo volutamente escluso dalla selezione dei muffati i campioni di diverse altre zone – per tutti, l’area austro-tedesca, l’Alsazia e la Loira, il Nuovo Mondo – per concentrarci sul bordolese e dintorni, unendo qualche intruso “alla cieca”. Per il resto, ci rifaremo!

Di seguito, le mie piccole note di assaggio.

CHATEAU D’YQUEM 1997

No, il titolo non è usurpato: davvero un mito. Vino elegantissimo, perfettamente integrato: senza alcun eccesso, senza alcuna carenza. In bocca c’è tutto quello che ti aspetti da Sauternes: un susseguirsi fitto e serrato di arancia e mandarino in confettura e in candito, crema di albicocche e di pesche gialle, frutta tropicale di ogni tipo, zafferano, miele, cenni smaltati, mandorle, pasticceria, vaniglia….in bocca lo zucchero è perfettamente misurato, la freschezza eccezionale (23 anni così? Incredibile!), la leggera astringenza della muffa nobile è una carezza che pulisce la bocca lasciando una scia a coda di pavone. Facilissimo da bere, pur essendo un vino così “cerebrale“ o “psichedelico”, si licet. Una pietra miliare.

CHATEAU HAUT PEYRAGUEY PREMIER CRU 2002

La stupefacente prestazione di Yquem avrebbe potuto ammutolire ogni altro assaggio, ma non è stato così, anzi. Questo prodigioso nettare, che rivaleggia con il vino-mito in tutto (struttura, complessità, profumi), brilla nel segno dell’eccellenza con una luce splendida e un timbro tutto proprio. E’ un vino sorprendentemente fresco a partire dal colore più vivacemente giallo, a fronte di quello di quasi tutti gli altri campioni che ormai viravano al mogano. Insomma, Haut Peyraguey dimostra molto meno della metà dei suoi 18 anni e la bocca lo rivela in pieno, con un “grip” di acidità meravigliosa e sentori  più giovanili e agrumati: ci sono tutte le scorze gialle e verdi, dal limone dolce al lime, dal pompelmo al bergamotto, dal cedro al pomelo e tanto tanto altro (ananas e papaya in prima fila) . Ingresso sontuoso, allungo sportivo, durata da prendere i cronometristi per stanchezza. Ora in stato di grazia, lo attende ancora un grande e lungo sviluppo. Il mio preferito, alla pari ma per diversi motivi, con Yquem.

CHATEAU GUIRAUD PREMIER CRU 1995 – 2004

Una magnifica doppietta che spiega benissimo a chiunque cos’è la classicità a Sauternes. Il 1995 è opulento, fastoso, ricco e vellutato: un ventaglio di spezie orientali qui si avverte in modo netto e nitido, sposando il corredo fruttato, mellifluo e goloso, classico dei vini di questo territorio. Il 2004 è – giustamente – più fresco e fruttato al naso (arance, mandarini, pesche e albicocche a volontà) ma la bocca è voluminosa e sfarzosa come Guiraud sa essere.  Un caleidoscopio così sfaccettato di profumi e sensazioni gustative che potrebbe travolgere, ma grazie ad un mirabile bilanciamento non stanca mai ed anzi, ad avercene….

CHATEAU RABAUD PROMIS PREMIER CRU 2001

Questo vino squisito e blasonato ha avuto solo la sfortuna di essere capitato assieme al quartetto di cui sopra che, nella nostra serata (e al mio palato), non potevano quasi avere rivali. E’ un vino di impronta molta classica, realizzato in modo magistrale, suadente ed equilibrato: forse, rispetto ai “fantastici quattro”, aveva una nota leggera ma più evidente di caramella d’orzo e un tocco appena astringente – consueto nei vini botrizzati, ma qui più insistito – che, nel finale, ne attenuavano una complessità e finezza pure ragguardevoli. E’ senz’altro nel firmamento dell’eccellenza, ma questa volta altre stelle  hanno brillato un po’ di più.

SAUTERNES: I “NON TITOLATI”

Oltre a Yquem e ai Premier Cru avevamo con noi due Sauternes non “decorati” ma di ottima fama: buonissimi e approcciabili, si sono divisi la scena stilistica.

 CHATEAU HAUT CLAVIERE 1996:  ha ricalcato le orme di Rabaud Promis, sia pure in una forma di poco meno sfacettata ma sempre ben composta. Anche qui,  una nota finale di caramello un tantino astringente ha  limato la lunghezza. Buono in assoluto senz’altro, per l’età merita il “buonissimo”.

CHATEAU LES JUSTICES 2004: sembra ispirato al lusso e la magnificenza di Guiraud 2004 in modo anche più appariscente grazie alla sua veste giovanile che lo avvantaggia. Ricco e voluttuoso, con un pizzico (ma solo un pizzico, eh!) di acidità in più avrebbe fatto vacillare più di un Premier Cru. Insomma, Les Justices è apparso il prototipo del Sauternes in versione morbida e gourmand, uno di quelli che piacciono, piacciono, piacciono a tutti. Si prospettano ottimi margini di evoluzione.

I SATELLITI:

LOUPIACI vini di questa denominazione prospiciente la Garonna hanno presentato due volti piuttosto diversi. DOMAINE DU NOBLE 1996  ha fatto un’onorevole figura (per un vino di quasi 24 anni, però, un figurone!) districandosi nei fondamentali dei vini da botrite con leggerezza e sufficiente disimpegno.

CHATEAU DE RICAUD 2000: senza se e senza ma, ecco uno degli outsider della serata. Non ha la prestanza strutturale dei Sauternes assaggiati in serata, ma è finissimo, rifinito nel corredo dei profumi sottili, assolutamente ampi e copiosi;  in bocca è  leggiadro, preciso in ingresso, pronto a distendersi nel centro e con un allungo finale fresco e duraturo che chiedeva immediatamente il bis. Il guanto è di velluto fine, ma la presa – certo, non di ferro – è saldissima. Che eleganza! Complimentoni!

I SATELLITI: MOMBAZILLAC

Figli di un Bacco minore? In un certo senso sì, ma il prezzo è decisamente più alla mano e quindi teniamone

conto. Qui la muffa nobile è generalmente meno significativa (a volte molto poco…) . Se la prova di CHATEAU LE SABATIER 1997 è stata dignitosa (ha fatto bene il compitino, con qualche nota anche di ulteriore merito), le DUC DE CASTELLAC 2000 è stato invece meno prestante: il punto debole è nel tandem naso/bocca, un po’ slegato e disarticolato. Se i profumi si sono presentati non certo clamorosi ma comunque di discreta finezza, soprattutto all’assaggio in vino ha “preso paga”, rivelandosi un po’ povero e con limiti di persistenza: netto e piuttosto rapido il finale. Il giudizio complessivo è quasi sufficiente e, con i dovuti limiti di una denominazione ancillare,  ha un po’ deluso.

IN GUASCOGNA

DOMAINE TARIQUET DERNIERES GRIVES 2000 (PETITE MANSENG): eh. Qui la Botrite arriva raramente, ma qualche intruso ci voleva pure. Purtroppo però sulla nostra bottiglia si è potuto dire poco: al naso che prometteva  una confettura mista di frutti a polpa gialla è seguita una bocca disarticolata, un po’ “stracotta” e stanca, conclusa da un finale piuttosto amaricante. Un attesa di 20 anni è stato, evidentemente,  troppo. Pazienza.

IL NOBILE INTRUSO

TOKAY ASZU 5 PUTTONYOS 2007 SAMUEL TINON

Decisamente ungherese, decisamente ricchissimo, decisamente materico: è lui. Più “albicoccoso” e untuoso dei cugini bordolesi, questo vino ha una veste olfattiva e gustativa classica: è buonissimo, regala tanta, ma “tanta roba” come si usa dire in Romagna, ma – per me –  questi pur splendidi vini non offrono altrettanta finezza e complessità dei cugini francesi. Certo, quanto a concentrazione (ed espressa senza sbavature, mica facile) non ce ne è per nessuno.

LA PATTUGLIA ITALIANA

MUFFATO DELLA SALA 1995 ANTINORI

L’unico servito “a viso scoperto”, peraltro nel bel mezzo di una batteria di Sauternes; blend di Sauvignon (60%) e un restante mix di Grechetto (prevalente), Riesling e Traminer. Un quarto di secolo speso benissimo, il campione umbro della Famiglia Antinori è senz’altro un gran vino. Evoluto perfettamente senza alcun cedimento, fresco al di la di ogni aspettativa, sente la sua “meridionalità”: più confettura di albicocca e miele che agrumi e spezie, più mandorla dolce che zafferano e vaniglia. Bilanciatissimo, di estrema compostezza, lungo senza paura: un vino sicuramente più solare dei cugini francesi.

ALBANA DI ROMAGNA DOCG CODRONCHIO 2004 FATTORIA MONTICINO ROSSO

Indiscutibilmente un modello di vino a sé stante; la presenza di botrytis , sia pure con vesti diverse, si ripresenta puntuale con costanza. Il riassaggio di annate su annate  conferma quanto ho sempre pensato: Codronchio non guarda a Sauternes ma ai GC alsaziani in versione secca. In qualche annata gli zuccheri si fanno sentire di più; il nostro 2004 si è mostrato decisamente asciutto, corposo e incisivo (il vitigno richiama la sua vocazione espressiva). Il suo gusto secco forse ha un po’ spiazzato i presenti che lo hanno assaggiato alla cieca dopo tante morbidezze bordolesi, ma tant’è: lo stile è quello, riuscitissimo. Probabilmente, ha qualche chance in più per sposare piatti della nostra tradizione gastronomica (penso a una delle tante pizze rustiche ai formaggi diffuse nella nostra Penisola).

TERGENO 2001 FATTORIA ZERBINA

Alla cieca, sorpresona! Siamo nella “seconda epoca” del Tergeno, quando era composto da una vendemmia tardiva di albana (con attacco di muffa nobile) e un saldo di chardonnay. Il vino è il più leggero tra quelli  bevuti, ma non è certo diafano: è quello che – da manuale – chiameremmo “un corpo medio”. Quello che però convince tutti, senza riserve e anzi suscita unanime entusiasmo, è l’espressione: il vino si presenta in una veste del tutto originale. Al naso si presentano un mix di fiori bianchi, pesca (pure questa bianca)  ma anche note di selce, tocchi salmastri, quasi marini. La bocca – completa e precisa in ogni fase – replica il naso e il continuo ping pong tra la parte più “dolce” (fiori-frutta), la precisa e lunga sapidità con un residuo zuccherino appena appena avvertibile lo rendono non solo equilibrato e insieme dinamico, ma innalzano la persistenza e lasciano la bocca composta, sollecitando la beva. Un piccolo capolavoro, a distanza di 19 anni. Giù il cappello!

LE RANE MALVASIA C.P. 2000 LURETTA

Altro assaggio alla cieca, altra rivelazione per i tanti che non pensavano che una tale eccellenza si celasse nei Colli Piacentini, zona che – con poche eccezioni – continua a portarsi addosso una fama piuttosto popolare, ma che sa custodire gioielli come questo. E’ un passito di Malvasia aromatica di Candia (la botrytis è eventuale)  che traguarda il ventennio in modo magnifico: naso integro, pieno di frutta matura e confetture (melone retato albicocca, nettarina, papaya, susina gialla) ma anche cenni di zenzero, zucchero vanigliato e altri tocchi leggeri di pasticceria. La dolce ricchezza è mirabilmente bilanciata da una freschezza non solo abbondante ma anche perfettamente integrata, lasciando nella bocca – che definire sontuosa è il minimo – una lunga scia di seta finissima. A differenza di tante altre uve aromatiche, nemmeno un lontanissimo ricordo amaro (triplo bonus!). Felice Salamini, nel pensare all’etichetta con un raffinato intento, unì il nome di una nota commedia di Aristofane ad una veste bordolese. L’intento è riuscito: un capolavoro, sotto ogni profilo.

Concludo con un sentito grazie a Daniele e agli Amici di Sommelierdellasera per avermi consentito di fare da “Cicerone” questi assaggi. Ho solo cucito via via quello che ciascun vino aveva da offrire: la stoffa era eccezionale ed è venuto fuori un abito di gran gala.

Duccio Armenio

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