Il sangiovese in Romagna è quasi una tradizione, un alimento, un biglietto da visita di un’ospitalità gioviale ed accogliente. In Romagna chi chiede un rosso è quasi scontato che voglia un bicchiere di sangiovese.
Ma, forse anche a causa di questa così larga e popolare diffusione, il sangiovese di Romagna ha preso nell’immaginario comune i connotati di un vino diluito e di poca trama. Molto a causa di un lavoro cooperativo che ha puntato storicamente sulle grosse quantità a basso prezzo, ottenute dai vigneti di pianura.
Negli anni ’90 però in un moto di orgoglio e necessità, diversi viticoltori di collina hanno intrapreso la strada della qualità, iniziando ad imbottigliare il frutto delle proprie vigne, dotate di potenzialità nettamente diverse dagli appezzamenti ad alta produttività della “bassa”.
Complice il momento storico, si innescò una sorta di testa-coda, con la ricerca di vini estrattivi e densi, quasi a volersi distanziare il più possibile dall’immagine dei vini industriali, semplici e poveri di spessore.
E si è rivelato un percorso necessario, con tutti gli errori ed i ravvedimenti del caso. Un percorso che oggi inizia a dare i propri frutti, con una platea di produttori, in continua espansione, che con capacità e sensibilità approcciano le proprie uve con accresciuta consapevolezza, offrendo tanti begli esempi di vini territoriali, identitari, e capaci di mantenere un forte legame con la tavola.
Dobbiamo infatti prendere atto che sembra volgere al capolinea l’epoca dei vini da concorso, con esasperazioni tecniche per renderli iper-complessi nella fase olfattiva, ma poi molto spesso farraginosi ed eccessivi al palato.
E’ storia recente una sorta di alleggerimento di tutti i vini, sull’onda un certo cambio di gusto oltreoceano, dove guide trainanti per i mercati hanno dettato nuovi canoni, tendenzialmente a partire dalla vendemmia 2010 in Borgogna, che ha regalato vini di dettaglio e longevità, attirando l’attenzione di esperti ed appassionati verso vini rossi eleganti e rarefatti, giocati su finezza e complessità ma evitando quanto più la potenza ed il volume, in favore invece di acidità e ritmo.
Tale progressivo cambio di gusto sta plasmando anche gran parte dei rossi italiani. Basti pensare a quanto nelle ultime annate si presentino disponibili e pronti anche vini storicamente arcigni ed austeri come Barolo e Brunello.
Ma torniamo alla nostra Romagna e al suo sangiovese. Anche qui come detto le cose stanno rapidamente cambiando, e l’ultima decade ha visto un vero cambio di passo nel livello qualitativo dei vini. Tanti gli esempi, per lo più basati su un’agricoltura attenta e rispettosa di un patrimonio viticolo da preservare e rilanciare. Negli ultimi anni il comparto romagnolo dei piccoli produttori si sta convertendo sempre più alla coltivazione in regime biologico, spesso facilitato da vigneti calati in un contesto di promiscuità con boschi e piccoli rii, che favoriscono la biodiversità ed i meccanismi di equilibrio della natura, che spesso dimentichiamo in preda alla mania di controllo e dominio tipica dell’umano.
Di tante belle realtà ne abbiamo selezionate alcune, con un percorso attraverso la parte centrale della nostra regione. L’opera di selezione ci ha messo in imbarazzo per la necessità di tralasciare alcune cantine (e zone) altrettanto meritevoli di presenza, a conferma della davvero larga rappresentanza romagnola valevole di attenzione per quanto riguarda la declinazione della nostra uva principe, il sangiovese.
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Villa venti – Primo Segno 2018. ll primo vino di Villa Venti, da sempre solo in acciaio, che mostra il carattere e la rustica eleganza del sangiovese coltivato ad alberello, con una oculata selezione di cloni e portainnesti, su terreni prevalentemente argillosi, in quel di Longiano. Vino saporito e finemente speziato, ricco di tratti fruttati nitidi e con allungo sapido, condito da tannino appena terroso, ma di bella grana. Grande lavoro di Mauro.
Tenuta La Viola – Colombarone 2019. Dalla media fascia collinare di Bertinoro nasce questo vino che attinge a terreni con matrice argilloso-calcarea. Contraddistinto di grande dolcezza di frutti rossi anche in gelatina, pulitissimo anche se non troppo stratificato, avvolge con sorso dal tannino robusto ma fine, e un calore percepibile nel finale. Manca un po’ di guizzo ma conforta il palato.
Giovanna Madonia – Fermavento 2019. Un piccolo capolavoro sempre da Bertinoro, ma in zona dove incide maggiormente l’affioramento di spungone, roccia tufacea calcarea che lascia un’impronta netta nei vini. Naso intrigante di fiori ed agrume rosso, e piccoli frutti a contorno. Si distende in un sorso elegante e succoso, dal tannino fine e finale salino che richiama al calice.
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Noelia Ricci – Godenza 2019. E’ storia recente il cambio della guardia nella consulenza enologica, con Paolo Salvi a sostituire Francesco Bordini, che aveva inaugurato questo recente progetto di Marco Cirese, titolare di Tenuta Pandolfa a Predappio. Ma i tratti fondamentali di questo vino, al netto delle annate, si mantengono fedeli, con una trama giocata su succo e sale, poco concessiva nella parte olfattiva, giocata su frutto rosso fresco frammisto ad una traccia salmastra (figlia probabilmente della prevalenza di arenarie), che poi torna coerente ad allungare il sapore del sorso. Vino di trasparenza ma che non rinuncia al sapore.
Marta Valpiani – Crete Azzurre 2018. Ci spostiamo a Castrocaro su terreni di argille blu, anche dette appunto crete azzurre. Un sangiovese dove si alternano toni caldi a toni freddi, florealità a frutto scuro, parte di sapore sostenuta da bella freschezza e tannini a tratti ancora incisivi. Per la cronaca la bottiglia degustata non era felicissima, particolarmente chiusa e arcigna, mentre gli svariati assaggi di questo vino mi hanno sempre portato un sorso di grande eleganza ed energia, con tanti colori e bella stratificazione al palato.
Ca’ di Sopra – Crepe 2017. Questo vino rappresenta il biglietto da visita aziendale, è il vino d’ingresso e penso possa tranquillamente fregiarsi della nomea di vino tra i più affidabili e godibili, sempre centrato su un frutto croccante e gioviale, non rinunciando ad una traccia tannica piacevole unita a succosa scorrevolezza e finale saporito. Questa annata difficile, torrida e in una zona già particolarmente calda per vocazione, su argille chiare, si mostra ora, a distanza di oltre 4 anni dalla vendemmia, un po’ stanco al naso come al sorso, con tannino ruvido in evidenza. Niente a che fare con la piacevolezza che regala sempre questo vino nel pieno della sua finestra di consumo.
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Pian di Stantino – Buscamara 2020. Un vino che merita attenzione e stupore. Un sangiovese da vigna a 700 metri di quota, affacciato sulla vallata del Montone, con piedi nel comune di Tredozio ma visuale su Portico di Romagna. Vigne di venti anni a grappolo piccolo e serrato, su terreni marnoso-arenacei, che arrivano a maturazione piuttosto tardiva. Macerazioni di due mesi sulle bucce per un vino che si avvolge su una spina fresca di lampone, ribes, un tocco di salamoia, una nota mentolata che vira a tratti su erbe balsamiche (timo e rosmarino). Sorso aggraziato, leggero, succoso come un melograno, dal tannino rarefatto e setoso. Per me vino del cuore, e come spesso capita ha conquistato molti commensali.
Il Teatro – Atto II 2019. Altro sangiovese da area fresca, con vigne principalmente su arenarie. Naso complesso e divertente, con note salmastre sul limite dei frutti di mare, poi tanto balsamico di lavanda, e frutti rossi di lampone e fragolina. Annata particolarmente buona per questa etichetta grazie alla compresenza delle uve delle vigne vecchie, solitamente dedicate al Violano, non prodotto nella 2019. Una stratificazione di naso e bocca davvero appagante, come la vista che si gode dalla terrazza de Il Teatro, affacciata sulla Valle Ibola e sulla Rocca di Modigliana.
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Dopo una bella carrellata di Romagna Sangiovese superiore ci siamo dedicati ai Riserva, vini spesso controversi e criticabili nel recente passato, che abbiamo trovato invece particolarmente meritevoli di attenzione.
Giovanna Madonia – Ombroso 2018. Le uve sono selezionate dalle vigne più anziane, ad alberello, e sui terreni a maggiore presenza di spungone, con argille grigie ad alta presenza di calcare. Caratteristiche che storicamente avevano dato a questo vino tratti molto austeri, con un tannino serrato che si univa ad una forte componente sapido-minerale, che spesso finivano per imbrigliarne il sorso e persino la parte olfattiva. Il grande lavoro fatto negli ultimi anni tra fermentazioni spontanee e attenta gestione delle macerazioni hanno rivoluzionato la trama di questo vino, ora molto più aperto e godibile, con parte agrumata e frutto scuro, unito a spunti balsamici e speziati, complice una traccia verde molto fine. Il sorso è pieno ma scorre grazie alla bella spinta acido-sapida. Per me molto buono ora e con grande prospettiva futura.
Stefano Berti – Calisto 2016. Torniamo in territorio Predappiese, sul versante di Ravaldino, per questa riserva che nasce su terreni a prevalenza argillosa. L’annata bellissima ed equilibrata produce forse una delle migliori versioni di questo vino, con un frutto scuro croccante in evidenza, accenti speziati fini che fanno capolino, bocca dove il calore si unisce ad una freschezza succosa, che insieme ad un tannino vellutato allungano il sorso con eleganza.
Fattoria Nicolucci – Vigna del Generale 2018. Assaggiamo questa Riserva dalle vigne di Predappio Alta in fase pienamente giovanile, che emerge nei tratti scuri ed in parte verdi, che si traducono in un sorso ancora stretto, che attraversa la bocca come una scarica elettrica, e allunga nel finale con una spinta salina notevole. Poco concessivo ora, merita sicuramente il riassaggio quando l’evoluzione gli donerà quella complessità che ora è solo potenziale.
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Villa Papiano – I Probi 2016. Andiamo a Modigliana, stavolta a circa 500 metri di quota, ancora su suoli sabbiosi da arenarie, con uve raccolte da una vigna degli anni 70, coltivata ad alberello. Versione sui generis, da vino di montagna, giocato in sottrazione, con nota salmastra in evidenza, poi frutto estivo di pesca e anguria, cenni floreali e indizi balsamici. Colpisce per il sorso innervato di acidità, succoso per via anche di una salinità avvolgente ai lati della bocca. L’opposto rispetto ai vecchi stereotipi della Riserva romagnola marmellatosa e spessa, a questo in gran parte grazie alla situazione del vigneto.
Fattoria Zerbina . Pietramora 2016. Andiamo qui invece su un grande classico, con vigneti ad alta densità coltivati ad alberello modificato, sulle colline argillose e calde di Marzeno (dove ci sono affioramenti della vena di spungone). Complice l’annata particolarmente felice contenuta nel calore il vino si muove con buona apertura nel calice, aprendo su note evolutive di balsami e accenti medicinali, con frutto scuro che torna coerente e fitto nel sorso, caldo e polposo, come da tradizione, ma con un quid di freschezza che lo equilibra, nonostante i 15% dichiarati. Vino di volume, con sorso pieno, l’unico sopra le righe per estrazione tra quelli assaggiati.
Vigna dei Boschi – Poggio Tura 2016. Saliamo nei vigneti di Valpiana, sopra Brisighella, dove Paolo Babini ha fatto un mirabile lavoro in vigna, andando a propagare oltre una ventina di biotipi diversi di sangiovese selezionati nei migliori vecchi vigneti dell’intero comparto brisighellese.
Qui ci mette il carico da 90 con una macerazione sulle bucce protratta per la prima volta fino a marzo. Il risultato è un vino originale e intrigante, che rivela una declinazione con nuove sfumature per questa etichetta. Si mantiene l’impianto di bocca con una base fresco-sapida che apre un’autostrada ad un sorso dai molteplici risvolti aromatici, dal rosolio alla visciola, dai toni selvatici a quelli floreali. Istrionico e territoriale insieme.
Ancora una volta possiamo brindare al grido di “Evviva la Romagna, Evviva il Sangiovese!”
Matteo Carlucci
Sommelierdellasera