lunedì, Febbraio 24, 2025
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Come il vino all’arte di Matteo Carlucci

Un’opera d’arte è praticamente sempre generata per intero dalle capacità umane, e per questo è volta ad essere goduta dall’uomo, ammirata, studiata persino, apprezzata o incompresa. Si tratta a mio avviso di entrare in sintonia con l’opera, abbandonare i nostri limiti, aprire i sensi, osservare e lasciarsi riempire dalla bellezza, dalla forza, dai mille significati a noi ignoti ma che trapelano e si mostrano all’anima quando è pronta e disposta ad accogliere.

E cosa c’entra questo col vino? Il vino come l’opera d’arte richiede l’opera dell’uomo, la sua tecnica, il suo estro, il suo saper ascoltare ed interpretare. Ma ci sono nette differenze, determinanti. Nel vino entra in gioco una componente fondamentale, più impattante rispetto al processo artistico: la natura. Il vino è una trasformazione dell’uva, e l’uva è la materia prima che il vignaiolo artigiano deve ottenere dalle vigne, seguendole, curandosene, fornendo loro le operazioni essenziali per il reiterarsi del loro ciclo vitale, cercando di sopperire agli eventi atmosferici più infausti. 

E tocca studiare i tempi giusti per ogni operazione, fino a portare in cantina l’uva. E lì continua un rapporto di intesa stretta tra artigiano e uva, poi mosto, poi vino. E’ un gioco e una sfida, può essere un lavoro normale per alcuni, ma per i migliori si rasenta l’arte. Un arte che ha a che fare con materia viva, da incanalare nel disegno che si vorrebbe ottenere con la propria “tecnica”. Acquerelli, pennellate spesse, tratti di carboncino che riemergono a sottolineare i primi bozzetti, giochi di luci e ombre, slanci prospettici, macchie di colore, bassorilievi tattili o forme rotonde e voluttuose, dettagli ultra realisti o sgangherati segni immaginifici, che riprendono forma al palato e nella mente. 

Quante forme espressive si possono scegliere per un vino? Non sono forse simili a quelle dell’arte? E non si trova lo stesso fascino davanti ad un calice di stupefacente fattura così come in fronte ad una scultura, quadro o affresco? E davanti a questi ci dobbiamo chiedere come sia stato ottenuto? Come si sia arrivati a quella magia che ci fa sentire vivi? O conta di più goderne con tutto se stessi, sentirsi parte di quell’opera che si fa viva in noi attraverso i nostri occhi? E non potrebbe essere così col vino? Quando il nostro istinto ne riconosce una bellezza genuina e benefica, non artificiosa, quanto serve dissezionarlo tra sentori, descrittori e infine uccidere ogni emozione con un punteggio?

Ripenso alla luce carsica che traspare viva come un’alba estiva dalla Malvasia Selezione 2014 di Marco Fon, all’elegante fraseggio di aromi del Nebbiolo 2008 di Beppe Rinaldi, grazia e sapore di vino sincero. Mi lancio nei pensieri del Fiano 2009 d Marsella in Magnum, un vino talmente goloso e struggente che vorrei ognuno ne godesse almeno una volta per capire cosa intendo. Mi torna un sorriso grato per il Brunello di Montalcino Poggio alle Mura del 1964, elaborato dalle mani allora giovani ma già evidentemente ispirate di Enzo Tiezzi, un vino che incantò tutti i presenti per la sua presenza quasi immortale, la freschezza degna di un’opera senza tempo.

Poi penso a quello che ancora mi capiterà nel calice, senza rimpiangere nulla, solo facendone tesoro e aspettando il prossimo bagliore di arte a illuminarmi il palato.

Matteo Carlucci

Sommelierdellasera

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