lunedì, Febbraio 24, 2025
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Il riscatto del Verdicchio di Matteo Carlucci

“La prima cosa da fare è parteggiare per le colline, per i cani, per i baci, parteggiare per le albe, per chi cammina, riunirsi per leggere un libro, per sentire un suonatore di fisarmonica, per zappare, per raccogliere l’uva di una vigna. Ecco le assemblee del nuovo secolo…in fondo la nostra è una guerra partigiana. Si tratta di resistere al nemico comune che possiamo chiamare denaro” [F. Arminio]

Un passato burrascoso e un presente radioso. Un vitigno che aveva trovato una prima valorizzazione a metà del ‘900, per poi subire la speculazioni di grandi imbottigliatori, che hanno trasformato l’iconica bottiglia ad anforetta in un sinonimo di vinello scialbo e annacquato. Ma negli anni ’80 alcune famiglie di vignaioli hanno imboccato la strada della qualità, la valorizzazione del vitigno abbassando le rese in pianta e allungando il tempo di affinamento in cantina. Parliamo del lavoro svolto da Bucci, Garofoli, Umani Ronchi, Sartarelli, che hanno ridato dignità e slancio ad un comparto vinicolo fortemente svilito. Da allora in tanti hanno seguito questa strada, comprese cooperative e aziende che recepiscono uve da molteplici piccoli conferitori, come Colonnara, Moncaro, lo stesso Garofoli. Da segnalare anche la nascita di aziende votate ad una conduzione agronomica naturale, in crescita continua dagli anni ’90, con gli esempi di Fattoria Coroncino, Natalino Crognaletti (Fattoria San Lorenzo), Failoni, per giungere ai più recenti La Distesa, Ca’ Liptra e La Marca di San Michele.

Per quanto con concezioni stilistiche diverse, il Verdicchio vede oggi tantissime interpretazioni di pregio, pur mantenendo una grande accessibilità nei prezzi. Comprare una bottiglia di Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico è quasi una garanzia di una bevuta appagante e non banale. La qualità media è molto alta e rare sono le delusioni che si possono trovare sul mercato, trovando ancora vini molto interessanti già nella fascia tra i 10 e i 15 €.

Premesso questo, il Verdicchio gode anche il pregio di sapere affrontare gli anni in maniera sorprendente. Con gli anni il verdicchio vira verso toni di mandorla, nocciola, anice, si integra l’acidità e si mostrano i muscoli, specie nelle zone più calde, tendenzialmente sulla riva sinistra dell’Esino. E si mette in evidenza la traccia sapida e minerale.

Ma come il vino mi ha insegnato negli anni, sono solo i calici a parlare e a trasmettere in concreto lo stato delle cose. Perché al di là delle curiosità utili a inquadrare territori, vitigni, stili produttivi, la parola finale va alle sensazioni del palato e le emozioni che suscita il vino all’assaggio. Personalmente sono un bevitore che predilige il sapore, la parte di bocca, per quanto i profumi siano un contorno certamente divertente e utile a innescare le sinapsi della degustazione.

Ecco quindi i vini messi in batteria.

Fattoria San Lorenzo – Campo delle Oche 2016  Marche Bianco IGT. Nasceva come Riserva, oggi declassato a IGT, ma rimane lungo il suo affinamento, di ben 36 mesi sulle fecce fini. Come tutti i vini di Crognaletti è dinamico, polposo, ricco, cangiante. E’ cereali e frutta matura, è erbe aromatiche e fiori estivi, ha sorso denso ma agile, aiutato da una vena di volatile che veicola profumi e alleggerisce il sorso, dandogli energia e allungo. Scalpita, ancora giovane, multicolore, irriverente, contadino e sincero, corroborante. Ne ho mantenuto un po’ nel calice tutta la sera e ogni volta che ci tornavo aveva belle favole da raccontarmi.

Colonnara – Cuprese 2013 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore. Una conferma di affidabilità con qualche anno sulle spalle. Gonfia la nota di anice, che può non piacere, un po’ dominante, seguita da mandorla, ancora suggestioni di fiori bianchi, mentre il sorso si mantiene teso, finemente sapido, più verticale che largo. Ossuto e nervoso.

Socci – Marika 2013 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore. Una cantina e una famiglia che conosco molto bene e di cui apprezzo il lavoro sul verdicchio, interpretato in varie declinazioni e sempre molto bene. Ero curioso dell’evoluzione del Marika, il vino le cui uve fanno criomacerazione, sprigionando particolari aromi. Ma la bottiglia era eccessivamente evoluta, non più apprezzabile come speravo. Peccato perché le pari annata (o precedenti) di Martina e Deserto mi hanno sempre dato soddisfazioni.

Ca’ Liptra – 21 S.M. 2013 Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico. Realtà giovane e piena di idee, già quando li andai a trovare nel 2014. Questo vino allora era un po’ scontroso ma di bella prospettiva. Oggi era un po’ stanco, complice un tappo al limite della tenuta. Naso evoluto, torbato, e una bocca sottile, fine ma sfibrata rispetto al ricordo che ne serbavo.

La Staffa – Rincrocca 2013  Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore. Altra bottiglia avanti con l’evoluzione, e qui ne ho certezza vendone aperta una bottiglia gemella un paio di settimane prima e avendola trovata assolutamente più in forma. La frutta vira sul candito di agrume, una mandorla netta, la bocca galoppa bene tra sale, nervo e sapore, ma plana un po’ nel finale, con qualche accento ossidativo. Ma assicuro che le bottiglie ben conservate di questo vino sanno regalare una scarica di felicità. D’altronde Riccardo Baldi è ormai da tempo la rivelazione del Verdicchio e da oltre un lustro non sbaglia un colpo.

Tenuta dell’Ugolino – Vigneto del Balluccio 2012  Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore. Posso dire quasi senza paure che sia stata la sorpresa della serata. Vuoi perché quasi nessuno lo conosceva, vuoi perché questa bottiglia aveva tenuto perfettamente, con un naso carico di fiori freschi di acacia, presente anche in versione miele, mandorla, note di erbe aromatiche di timo e salvia, e la mandorla dolce a chiudere. Il sorso era corrispondente, elegante, dinamico, pieno di sapore e capace di evolvere nel bicchiere, senza scemare a contatto con l’aria, ma acquistando frutto e profondità. Grande esempio di come bere benissimo spendendo davvero pochissimo.

Garofoli – Podium 2012  Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore. Altro vino centratissimo, che apre con sbuffi minerali quasi sulfurei, di focaia, accenti balsamici, la traccia inequivocabile della mandorla. In bocca ha calore e spinta, profondo e saporito, più largo che verticale, ma di bell’equilibrio nonostante giochi più di polpa che di nerbo. Innegabilmente un riferimento della tipologia (anche se non nei miei preferiti).

La Marca di San Michele – Il Pigro della Marca 2011 Marche Bianco. Bottiglia che all’acquisto pensai di lasciare riposare in cantina per integrare un legno che all’uscita mi pareva un po’ fuori dai ranghi. Gli anni hanno sistemato le cose ed oggi questo vino era qualcosa di molto godibile. Alla faccia dell’annata calda mantiene freschezza, succo agrumato, qualche inflessione di pasticceria e burro, ricordi minerali e nella dinamica del sorso che mi richiamano alla Borgogna, allo stile di quei vini. Forse si perde un po’ il varietale del verdicchio? Ebbene no, perché mantiene la nota di frutta secca nell’eco finale e nei profumi, e ripaga in bocca con quella fibra ormai riconoscibile dopo tante bottiglie bevute.

Umani Ronchi – Casal di Serra Vecchie Vigne 2011  Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore. Calice poco convincente, confuso, tra note di cipria, vernice, bocca stanca e amarognola. Probabilmente tappo poco felice (tappo sfortunato anche se non da TCA).

Andrea Felici – Il Cantico della Figura 2011 Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico. Andiamo al confine tra Jesi e Matelica, ad Apiro, sui 500 metri di quota, con uve nelle mani meticolose di Leopardo Felici. Mettendo il naso in questo vino, uscendo dal contesto, potrei proiettare l’immaginazione in altri territori, dalla Borgogna allo Chablis, o alla Loira. Vino delicato e infiltrante nei profumi, di talco, cipria, gesso, balsami fini, fiori dolci in sottofondo, agrume giallo che attraversa il sorso, ricamato, un raggio laser che si allunga al palato, con tensione vibrante e finale di sale dolce. Gran bottiglia.

Fattoria Coroncino – Gaiospino 2010 Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore. Vino che mi trasporta anima e ricordi in pieno centro Italia. L’orzo, le nocciole, note di erbe aromatiche, su tutte la menta e la mentuccia, il miele profumato. Uno dei calici che durante la sera (ed anche il giorno dopo per me che ho conservato gli avanzi della serata) ha mostrato più evoluzioni, cambi di colore, aperture di profumi sempre nuovi, dal tabacco alla liquirizia, dal finocchietto all’albicocca. Sorso caldo, polposo, ma sostenuto da una freschezza integrata, e lungo in un finale quasi salato. Per me (ma specifico quasi solo per me) uno dei più esaltanti della serata. mi ricordo sempre, come fosse adesso, l’immagine della vigna dove nasce il Gaiospino, ripida e circondata da rovi ai lati, e sormontata da file di vecchi ulivi, con una luce che mi si è stampata nelle retine, nella memoria, nel cuore.

Pievalta – San Paolo 2010 Castelli di Jesi Verdicchio Riserva Classico. Anche qui sorpresa e conquista di molti palati. Il vino dove più che mai spicca una nota erbacea fresca, a tratti balsamica, e un corredo di agrume giallo che domina anche il sorso, elettrico e fibrillante, ritmato, succoso, verticale ma di saporito allungo.

Villa Bucci – Villa Bucci Riserva 2010   Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore Riserva. Uno dei più attesi della serata e forse per questo meno apprezzato, come una star che delude le aspettative. Vino elegante, che chiama aria e tempo per esprimersi. Note ossidative lievi tradiscono l’evoluzione, ci sono sensazioni fini, ben articolate, ma prive di quel piglio che ti fa rizzare le antenne. Si sta come ad aspettare il colpo di scena, che non arriva. Al passare del tempo si concede con note di fiori, un frutto dolce e accenti balsamici, ma non scuote gli animi. Rimane comunque un faro da ringraziare per la svolta e i riscatto della tipologia (e per onestà era un gran bel vino, tecnicamente impeccabile, ma…)

Vallerosa Bonci – San Michele 2008  Verdicchio dei Castelli di Jesi Classico Superiore. Una bella conferma di quello che ricordavo di questa etichetta, per me sinonimo di Verdicchio di lunga gittata. Bevuto giovane è un pugno di sale in bocca. Con gli anni si distende, assume note dolci di burro, crema al limone, pera matura, bignè, e sfodera, dopo un sorso ancora sorretto da tenace nerbo, unito a calore (ben inserito), un finale sapido lungo e piacevole.  

La Distesa – Gli Eremi 2018 Marche Bianco IGT. Ho portato questo vino perché assaggiato un mesetto prima aveva conquistato me e tutti i presenti alla serata, anche i più scettici sui vini naturali. Ma qui c’è poco da essere scettici. L’onestà e la sensibilità di Corrado Dottori restituiscono un vino che è storia, è territorio, è presente, è rusticità agricola che si trasforma in classe nobile. Una bellezza alla portata di tutti, come la bellezza della natura. Un vino elettrico, rock, carico di erbe aromatiche e fiori di campo, accenni cerealicoli e sbuffi resinosi, e poi frutta succosa, non solo agrume dolce ma anche note di fragolina di bosco. Vino che potrebbe non piacere, come può non piacere un assolo di Jimi Hendrix. Vino buonissimo ora e che sono curioso di ribere quando il tempo ne avrà reso l’assolo ancora più psichedelico. 

Un finale degno di un grande concerto, dove era impossibile annoiarsi.

Matteo Carlucci

Sommelierdellasera

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