Il Montepulciano d’Abruzzo è davvero un vino rosso come il sangue, caldo e capace di rinvigorire, come un’iniezione di sangue fresco. In una anomala calda serata di febbraio ne abbiamo scoperto le caratteristiche in una degustazione dei Sommelierdellasera che ha attraversato territori, stili ed annate differenti.
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Parliamo di un vino ricco di natura, carico di colore, di tannino, di calore (dal potenziale zuccherino generoso). E non manca nemmeno, nonostante l’ossatura robusta, di una spina dorsale acida che difficilmente si perde, e sostiene una materia spesso ricca. La sua dinamica si fa più nervosa nelle versioni meno estrattive, da vinificazioni in acciaio o cemento, unite a macerazioni relativamente brevi sulle bucce. Un esempio emblematico di tale tipologia l’abbiamo trovato nel Montepulciano d’Abruzzo 2016 di Tiberio, con un accenno di riduzione che si dilegua subito all’aria lasciando posto a frutti freschi, cenni vegetali balsamici, un accenno di spezie che comunque fa capolino, patrimonio del vitigno prima ancora che conseguenza di affinamenti in legno, qui assenti.
Legno che diventa invece timbro determinante su altre versioni, come ne I Vasari 2012 di Barba, ricco di spezia dolce e note tostate, che si ripropongono anche al palato, con una dote di tannino ellagico che tende ad asciugare il sorso. Più elegante l’interpretazione di Fausto Albanesi di Torre dei Beati, col Mazzamurello 2012, dove le barrique francesi lasciano la loro nota dando respiro al vino, che mantiene frutto ed un bell’equilibrio. Tutto molto preciso e definito, quasi troppo.
Una interpretazione che ci ha fatto apprezzare la capacità evolutiva ed il legame con protocolli più tradizionali è stata la mini-verticale dello Zanna di Illuminati. Fermentazioni in acciaio e affinamento in botti grandi in rovere di Slavonia. Preferito dai più nell’annata 2008, rifinita, ancora in divenire, con bel frutto al sorso, dinamico e condito da speziature e accenni di radici. Scalpitante il 2006, quasi scorbutico a tratti, tra tannini ancora indomiti e graffianti e un nervo acido che combatte in bocca insieme ad una ricca nota di calore. Calore che segna la 2003 già nei toni del frutto, tra il surmaturo ed il cotto, ma qui ben si evidenziano cenni di liquirizia e tabacco, con un tannino ancora leggermente ruvido, figlio dell’annata particolarmente siccitosa.
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Tannino che ritroviamo parimenti nello Spelt 2003 di Fattoria La Valentina. Altra zona, più vicina al mare, e si ripercuote in una eleganza ed integrità di sorso ancora notevoli, con vena sapida finale, pur col segno di un tannino un po’ verde.
Spicca per una vena balsamica mentolata e resinosa dominante, quasi da dopobarba, il Testarossa 2014 di Pasetti.
Frutti rossi ben presenti, un calore che scuote la bocca con qualche fuori giri, un’acidità non troppo amalgamata. Calice tanto invitante e curioso al naso quanto contraddittorio al palato.
Veniamo ai vini che più hanno colpito e dato un’idea del Montepulciano d’Abruzzo nel pieno della propria espressività. Un piccolo produttore, Faraone, il cui titolare Giovanni ci ha lasciato purtroppo nel luglio 2019. Avevo avuto il piacere di conoscerlo ed ospitarlo in una degustazione da me organizzata sul trebbiano, a Forlì, ed aveva partecipato raccontandoci la sua realtà di contadini in terre vicine al mare e al confine con le Marche, dove vecchie vigne donano uve saporite che lui ha sempre saputo tradurre in maniera molto onesta e senza orpelli né compromessi nei suoi vini. Il suo Santa Maria dell’Arco 2011 è un esempio di dinamica ed eleganza, succo di frutti rossi, melograna, accenti di genziana ed erbe aromatiche, anche sfumature agrumate, che ritornano in un sorso goloso e saporito, polposo ma scattante e dinamico, che invita magneticamente al calice. Rustica eleganza.
Altre zone, altri climi, nell’entroterra, caratterizzano due vini agli antipodi per concezione. Il Vigna del Convento 2017 di Valle Reale, magnifica realtà alle porte di Popoli, rappresenta l’idea di vino del patron aziendale Leonardo Pizzolo, amante della Borgogna e delle sue vette di eleganza e leggiadria. Il suo sogno è trasmettere quell’idea al Montepulciano, partendo già da un vigneto selezionato dalle marze di vigneti storici, poi lavorando alacremente su fermentazioni spontanee (tante microvinificazioni sviluppando pied de cuve da diverse parcelle) e custodendo il lavoro fatto in vigna con una totale pulizia ed attenzione in cantina, per preservare la qualità della materia prima. Vino effettivamente molto cesellato, ancora in fase giovanile, un po’ contratto nei profumi, ancora in divenire, porta in dote frutti scuri freschi ed echi balsamici, una buona freschezza, nonostante l’annata rovente, ed un sorso dal tannino setoso ed infiltrante, piuttosto lungo al palato, anche se ancora da attendere perché sfoggi appieno il suo potenziale, ora in fasce.
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Non tanto distante, sulle colline di Prezza, nascono invece i vini di Praesidium, altra famiglia contadina che interpreta i vini secondo tradizione. Vinificano in acciaio, lasciando lì a lungo il montepulciano, prima di metterlo a “respirare” in legni grandi, fino a piena maturità. Bocca voluminosa e scalpitante per il Montepulciano Riserva 2009, così come il naso, innervato da una volatile che si fa sentire e trascina con sé effluvi di balsami, spezie ed erbe aromatiche. Anche in bocca la dinamica è travolgente. Ha calore, tannino robusto ma non offensivo, avvolge e pulisce il palato, in connubio con un’acidità ben inserita.Qualche sgrammaticatura e accenno animale ha fatto storcere il naso a qualcuno. L’anima rustica del vitigno qui grida il suo nome, si fa sentire e può intimidire. Ma bere questo vino (tanto più se accostato a ricchi piatti di carne, magari ovina) è come stringere la mano ad una persona onesta, di quelle di una volta. Non ha bisogno di agghindarsi o vestirsi di tutto punto per mostrarti la sua anima. Gli basta il suo vestito naturale, pieno di dignità, la sua fierezza, la sua energia figlia di una vita vera, senza trucchi, per farti sentire bene, per farti sentire, almeno un po’, in Abruzzo.
Matteo Carlucci
Sommelierdellasera