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RIFLESSIONI SULLA TRADIZIONE IN LANGA DI FRANCESCO FALCONE

Il mio battesimo in Langa fu nel novembre del 1999. Il primo ricordo: l’emozionante colpo d’occhio delle colline tappezzate dai colori delle foglie autunnali. Il secondo: la personalità dei vignaioli incontrati. Giorgio Boschis della Borgogno a Barolo, Domenico Clerico a Monforte e Franco Massolino a Serralunga. Tre barolisti, tre storie, tre stili differenti: dalla tradizione senza compromessi all’innovazione spinta, fino a una più meditata classicità. Da allora sono sfilati vent’anni e un centinaio di produttori conosciuti personalmente, eppure solo ora sento di cominciare ad avere una prima visione d’insieme, a poter contare su interlocutori con cui confrontarmi, a maturare delle convinzioni. Convinzioni tutt’altro che granitiche, perché il Barolo è un vino così complesso da non ammettere pregiudizi e certezze scientifiche; così imprevedibile nella sua curva evolutiva da sorprendere e spiazzare perfino gli assaggiatori più colti. Devo a Alessandro Masnaghetti, critico tra i più autorevoli in Europa, molte delle cose che del Barolo conosco. Per dieci anni, dal 2005 al 2015, mi ha insegnato tutto il possibile su una denominazione tra le  più complesse da interpretare, offrendo il suo talento e la sua esperienza di degustatore alla comune causa della consapevolezza critica. Infine il mio pensiero va ai patriarchi del Barolo, che in pochi ricordano ma a cui tanto deve la denominazione: Emilio Pietro Abbona, Cesare Borgogno, Arturo Bersano, Giuseppe Bressano, Giovan Battista Burlotto, Giuseppe Cappellano Giacomo Conterno, Paolo Cordero di Montezemolo, Tota Virginia Ferrero, Ferdinando Vignolo Lutati, Giulio Mascarello, Battista Rinaldi,. Renato Ratti, Arnaldo Rivera, Giuseppe Tarditi e altri che di certo dimentico.  

Traditio indica l’atto di tradere – da trans-dare -, con il significato di consegnare e anche di “trasmettere”.

Trasmettere un’eredità, una memoria, una notizia, una pratica, un insegnamento: e questo sia a parole che per scritto. Tradere significa dunque anche insegnare: tradere virtutem hominibus: “insegnare agli uomini la virtù”  (Cicerone).

La preposizione trans indica “al di la”, “oltre”, con evidente riferimento sia ai limiti temporali (che in virtù della memoria tramandata è possibile sorpassare); sia ai limiti dello spazio fisico (che terrebbero la memoria imprigionata se questa non venisse trasmessa); sia ai limiti dell’esperienza soggettiva di colui che, possedendo una conoscenza, la condivide con altri mediante la trasmissione.

La Tradizione presuppone un dare e un avere, un ricevere e un consegnare, attraverso la custodia e l’elaborazione. Tradizione è parola transgenerazionale, poiché mette in connessione uomini e donne di diverse epoche, che così si scambiano – in differita –  informazioni, idee, consuetudini e conoscenze con ancestrale complicità.

Di un vino è trasmissibile ogni cosa: da quali uve è originato; in quali condizioni geografiche, geologiche, climatiche, orografiche si trovano le vigne che quelle uve hanno portato a maturazione; come quelle uve e quelle vigne sono state governate; come quel vino è stato vinificato, maturato, affinato, bevuto, venduto, valutato.

 Il Cavalier Lorenzo Accomasso vignaiolo artigiano dell’anno

È bene tuttavia ricordare che parlando di vino, l’aggettivo “tradizionale” nasconde talora un significato dispregiativo, in quanto spesso è usato per indicare liquidi remoti e passati, ostili nei confronti di ciò che è godibile, immediato, universale. Allo stesso tempo, “tradizionale” rivendica pure un’accezione consolatoria, in quanto si presta ad infondere nel consumatore un senso di sicurezza e di stabilità, evocando la romantica immagine del buon tempo passato che si mette di traverso al cattivo tempo futuro. Ed è per tal motivo che si assiste a un recupero massiccio del termine “tradizione” nel linguaggio usato dalla pubblicità e dalla retorica: il suo uso intende infatti sottolineare enfaticamente la genuinità del vino, a prescindere da tutto.  Occorre allora essere scettici con la visione più manichea che la parola “tradizione” porta con sé, poiché esistono buoni vini innovativi e modesti vini tradizionali, e naturalmente viceversa.

Tornando a Barolo, la prima cosa che va sottolineata è che la “tradizione” in Langa non è sinonimo di vini fuori dal tempo, ma di vini che non intendono smarrire certe abitudini produttive che da un secolo e mezzo caratterizzano la terra, la comunità, la storia e le denominazioni di Langa. L’aspetto più attraente dei Barolo tradizionali autentici è che il tempo non lo ignorano, ma lo attraversano, che è cosa ben diversa. Si tratta di vini che si fanno custodi di memorie, per merito di uomini e di donne che conoscono le abitudini dei luoghi che vivono. I vini tradizionali autentici sono fatti con tecniche che rispettano i valori dell’esperienza e della testimonianza.

La tradizione è certamente conservatrice, ma non in senso museale, semmai in senso dinamico, poiché raccoglie e custodisce consuetudini che ogni generazione, dopo aver appreso, conservato, modificato dalla precedente, trasmette alle generazioni successive: la cultura è infatti insita nelle persone e pertanto vi è ogni volta una rielaborazione della pratica di padre in figlio, di madre in figlia. I vini tradizionali autentici non sono sinonimo di ottusità e di passato, ma di identità e di storia, valori sempre più rari nel mercato globalizzato.

Flavio Roddolo a Monforte

In Langa è tradizionale quel vino che ha forti legami con la memoria. Ed è un vino che somiglia alla gente di Langa: generoso ma trattenuto, di tempra forte, alieno agli eccessi e alle moine.

Si tratta di un vino che miscela calore e durezze, in sintonia con chi lo produce. C’è in esso qualcosa di nobile e di villano, in cui la classe non esclude la ruvidezza; in cui la grandezza non si dispiace di un certo provincialismo.

In Langa è tradizionale quel vino che appare ostinato e contrario, concepito da vignaioli che per cultura prediligono vivere in simbiosi con la terra che lavorano, dando la priorità al particolare più che all’universale. Particolare che tuttavia può diventare universale, quando il vino è davvero buono.

In Langa è tradizionale quel vino che ha bisogno di tempo per esprimersi, di molto tempo. La tenacia è un elemento primordiale del Nebbiolo di Barolo e di Barbaresco, ma anche la pastosa tannicità del Dolcetto e l’acidità perentoria della Barbera possono rappresentare un pregio per chi ama il genere – e al contempo un limite per chi predilige solo sorrisi e carezze.

Beppe Rinaldi a Barolo

In Langa è tradizionale quel Barolo che non fa nulla per dimostrarsi propizio al mercato, e che anzi del mercato in qualche misura se ne frega, tanto prima o poi, quel Barolo di indole austera e senza compromessi, incontrerà i suoi estimatori (oggi più di ieri, va detto).

In Langa è tradizionale quel Barolo in grado di fondere come una cerniera epoche tra loro distanti e che, grazie alla trasmissione tra uomini, appaiono combacianti. Si parla dunque di Barolo mai fuori dal tempo, bensì dentro il tempo, un tempo che diviene così circolare, in  qualche modo.

In Langa è tradizionale quel Barolo fatto da produttori che a dispetto delle tentazioni mercantili, a dispetto della necessità di fare impresa, non hanno mai cancellato l’esperienza di chi li ha preceduti, non si sono mai allontanati dalla quotidianità del mestiere, non hanno mai cambiato idea sulle abitudini della loro professione.

In Langa è tradizionale quel Barolo che non può piacere a tutti. Di certo non è mai il Barolo che sfiora, ma è quello che tocca; non è una mano posata, ma una forte pacca sulle spalle; non è il Barolo che si trattiene e allo stesso tempo non è quello più concessivo; non è il Barolo internazionale e non è il Barolo delicato. Spesso è il Barolo più chiuso, lento, tannico, indisponente nei confronti di chi pretende innanzitutto morbidezza e immediatezza.

Di produttori tradizionalisti nella zona del Barolo ve ne sono ormai pochi: in tanti vanno iscritti alla scuola dei classici (la cui traiettoria stilistica vira in direzione della contemporaneità: è classico ciò che è sempre attuale) e altri a quelli dell’innovazione (eredi più o meno legittimi degli Altare, dei Voerzio, dei Clerico, dei Rivetti, citando quattro diversi archetipi di innovazione in Langa). Poi ci sono quelli che stanno in mezzo in modo più o meno saggio, più o meno consapevole.

Evento Sommelierdellasera ‘La tradizione in Langa’

Non è mai stato un tradizionalista Beppe Colla, che invece è portabandiera del classicismo; così come classici sono i vini di Barale, di Burlotto, di Brezza, di Brovia, di Cavallotto, di Aldo Conterno, di Roberto Conterno, di Mario Fontana, di Bruno Giacosa, di Marcarini, di Oddero e di Vietti, benché ciascuna delle aziende citate proponga Barolo di differente respiro, come è giusto che sia.

Rari sono allora coloro che scelgono la strada della tradizione. Flavio Roddolo di Monforte è tra questi, certamente. Teobaldo Cappellano a Serralunga, era un tradizionalista e con lui, Beppe Rinaldi a Barolo. Lo è l’anarchico Gianni Canonica (agriturismo Quarto Stato) e la gracile eppur tenacissima Maria Teresa Mascarello, anche loro nel paese di Barolo. Lo è l’aspro Lorenzo Accomasso a La Morra, i Roagna (padre e figlio) di Castiglione Falletto; lo è l’affabile Elio Sandri, di stanza alla Cascina Disa di Perno.

 Francesco Falcone

Degustatore, divulgatore e scrittore indipendente. 

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