lunedì, Febbraio 24, 2025
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IL BUON VINO NATURALE DI FRANCESCO FALCONE

Ogni vino naturale quando è sano porta conforto ai nostri sensi e radici nella nostra memoria. Il vino naturale quando è buono si beve con tale gioia che poi si fatica a scegliere altro. Il vino naturale quando è serio sembra inventare nuovi racconti dei luoghi in cui origina, così che ogni volta è una sorpresa. Il vino naturale quando è autentico sprizza energia e nutre la nostra immaginazione, creando quasi una dipendenza nel bevitore sensibile al genere. 

Eppure nella sua forma più radicale il vino naturale divide drasticamente osservatori, operatori e appassionati, poiché il suo temperamento è tanto suggestivo e imprescindibile per il bevitore di cui sopra quanto inadatto al consenso popolare. Del resto, l’idea di una sfera di concidenza assoluta tra personalità e trasversalità, tra originalità e larga diffusione è pressoché estranea al mercato del vino (e al mercato tout court) . 

Va detto che il crescente contesto del vino naturale, in Italia e altrove, è anche abitato da tanti produttori incosapevoli, le cui bottiglie si inabissano in direzione di liquidi modesti e disordinati, senza capo né coda, omologati nell’approssimazione e nel difetto. Ciò accade soprattutto oggi, nel pieno di un’apparente successo commerciale e culturale dell’intero ambito enoartigiano. Eppure ai miei sensi e al mio cuore perfino gli elementi di maggiore fragilità (e ingenuità) del movimento suonano come fisiologici, poiché il percorso di evoluzione (degli uomini e dei vini naturali) è lungi dall’essere completato.

Vero che tanti vignaioli naturali dovranno imparare a produrre vino in modo professionale, dovranno imparare ad assaggiarlo e sorvegliarlo, dovranno imparare a essere meno indulgenti e più severi durante ogni fase produttiva. Ma è vero pure che dall’altra parte, gli assaggiatori più scettici dovranno prima o poi uscire dalla dittatura della perfezione a tutti i costi, dovranno finalmente saper rinunciare alla confezione rassicurante che veste i vini figli dell’enologia più conservativa, dovranno vivaddio aprirsi all’imprevedibilità di ciò che è umano, cangiante, unico e mai seriale. Sarebbe prezioso che gli assaggiatori smettessero i panni del detective per diventare persone capaci di accogliere e di stupirsi, prima di ogni altra cosa.

In tutto questo pensare a voce alta, la mia sola certezza è che non si potrà più tornare indietro: il pianeta ha bisogno di agricoltori sensibili al tema ecologico, coraggiosi al punto di mettersi per traverso alle regole dell’industria, adeguandosi alle esigenze del pianeta (sempre più devastato, sempre più fragile). Dobbiamo dunque guardare avanti come cittadini e come bevitori, schierandoci in direzione del vino naturale (e di ciò che gli è prossimo) non solo per esplorarne nuove dimensioni organolettiche, non solo per soprenderci davanti a bottiglie originali; non solo per bere bene, ma anche per sostenere un’agricoltura pulita.

A molti potrà suonare retorico e forse lo è, ma provare a frenare la catastrofe ecologia di cui siamo tutti responsabili passa anche da quale vino sceglieremo di bere stasera. E io stasera berrei volentieri, se solo ne avessi una bottiglia, lo splendido Mezzelune 2018 che Mauro Mazza e Rita Golinelli producono e imbottigliano appena fuori Imola, alla Ca’ dei Quattro Archi. Si tratta di Albana vinificata all’antica, lasciando fermentare i mosti a contatto con le bucce per circa due mesi, con pochi interventi tecnologici e tanto buon senso.

Ho detto loro che mai avevo assaggiato un Mezzelune di tale purezza. E lo ribadisco qui: nettare delizioso, profumato di sole e di frutti (anche esotici), saporito di sali e di tannini finissimi, da bere alla temperatura di quattordici gradi in un calice ampio, senza lasciarne nemmeno una goccia. Sarebbe un vero peccato.

 Francesco Falcone

Degustatore, divulgatore e scrittore indipendente. 

fra.falcone2003@libero.it

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