lunedì, Febbraio 24, 2025
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IL TEMPO DELLO CHAMPAGNE Di Francesco Falcone

Il tempo dello Champagne ci inganna.

Si sposta piano, si muove diverso.

Cadono tanti vini, ma lo Champagne resiste sul crinale del baratro, aggrappandosi allo sperone di un’energia succhiata negli abissi della sua terra, evidentemente speciale.

La lunga azione del vetro ne smeriglia le sfumature, abrade ogni effimero residuo di frutto, senza tuttavia spegnerne il battito d’atleta.

Anche in ginocchio, senza alcuna possibilità di reazione, il suo fiato trattiene un ritmo indomito, alieno alla morte.

Tutto di lui può apparire vecchio, tranne quei ficcanti riflessi salini ai margini della lingua, che corrono verso nord, evocano il colore delle nuvole atlantiche e ricamano liriche caudalies.  

Come il fiore schiacciato tra la pagine di un libro, il cui breve frammeto odoroso scatena illusioni di luci, il vecchio Champagne si riaccende nel tramonto di maggio, toccando i sensi fino alla vertigine.

Il tempo invecchia in fretta, scrisse Tabucchi.

Non per lo Champagne.

Non per quel malconcio flacone di Dom Pérignon Vintage 1980 scovato nella cantina di un anziano collezionista e posto sul mercato senza alcuna idea di quanto fosse ancora prezioso, per noi bevitori di sogni.

Pochi calici ambrati, solcati da ombre minacciose d’inverno che non so per quale fottuta ragione virano in direzione del vento che alza la sabbia, in un mite pomeriggio d’estate.

Pochi sorsi salmastri per ribadire che il tempo dello Champagne è un eterno futuro interiore che erra ostinato chissà dove, disegnando ipotesi d’infinito.

Pochi istanti di persistenza ed ecco il sorriso di quella splendida creatura nata a San Martino in Rio, capace di rianimarmi ogni volta che scrivo di Champagne.

Ogni volta che scrivo di vino.

Ogni volta che scrivo.

Ogni volta. 

Francesco Falcone

Degustatore, divulgatore e scrittore indipendente.

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