La mia Spuzzolina ha gli occhi chiari della verità, capelli biondi come spighe di grano e il temperamento trasparente dell’infanzia. La sua voce acuta e la sua bellezza senza peso vincono ogni gravità possibile, cancellando il peso dell’assenza. È bella come la luna piena quando si specchia nel mare; il suo incanto è un riflesso improvviso, laser che mi strappa un sorriso e rischiara il cielo in un istante. Ieri quella splendida creatura ha compiuto dieci anni, il primo pezzo di vita di un essere umano. Un giorno lieto che ho voluto ricordare a modo mio, stappando uno dei migliori Champagne del 2009, annata solare e capricciosa, proprio come il carattere della mia Piccola. E io non resisto né al sole né ai capricci, diomama.
Ho brindato con Cristal 2009. So bene che molti appassionati si sono lasciati trascinare dal clamore mediatico suscitato dalla ormai speculativa 2008, ma io mi ostino a suggerire a chi mi segue di dare una meritata possibilità di riscatto alla più accalorata e tenera 2009. L’osannato Cristal 2008 è tenace, ermetico, quasi spietato nella sua disposizione acida e non ho dubbi che si tratti di uno Champagne di abissale profondità, in grado di evolvere in modo regale. Tuttavia non lo stapperei né oggi né nei prossimi due anni, perché destinato a emanciparsi lentamente. Invece l’edizione 2009 è fin da principio più aperta, più concessiva, più in sintonia con la mia idea di Cristal, esibendo una dolcezza esotica affatto noiosa, un tessuto prossimo alla seta e una spensieratezza complessiva che mette le ali al sorso.
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Cristal fu lanciato per la prima volta sul mercato nel marzo del 1924 (si trattava del millesimato 1921), dopo essere stato a lungo prodotto in esclusiva per i sovrani di Russia (dal 1876 al 1917). Fu Alessandro II – zar dal 1855 al 1881 – a commissionare nottetempo al sodale Louis Roederer un lotto di Champagne fortemente dosato (140 grammi/litro) in bottiglie di cristallo dal peculiare fondo piatto “antiterroristico”: sarebbero servite a impressionare politici, diplomatici e militari che frequentavano il Gran Palazzo del Cremlino.
Per la Roederer, allora come oggi, l’obiettivo è l’eccellenza perseguita nel rigore familiare, tanto che tra le storiche case di négoce di Champagne è una delle pochissime a sfoggiare i galloni della piena indipendenza dalle multinazionali. Guidata dai discendenti di quel Louis Roederer che nel 1833 rilevò e ribattezzò col proprio nome l’intrapresa fondata nel 1776 dal munifico zio (la Dubois père et fils), la sede aziendale è nel cuore di Reims, poco lontano dalla poderosa Notre-Dame de Reims, al numero 21 di Boulevard Lundy: a cinque minuti da quel civico è insediata Krug, a sette Veuve Cliquot, a dieci Jacquart, a quindici Le Coq Rouge, bistrot frequentato da tanti gourmet esigenti. Non male per un itinerario enogastronomico.
Autosufficiente per alimentare i due terzi della sua produzione (pressappoco tre milioni e mezzo di bottiglie), Roederer è oggi accompagnata al successo planetario dal presidente Fréderic Rouzaud – figlio dell’indimenticato Jean-Claude – e dal direttore Jean Baptiste Lécaillon, il più acclamato tra gli chef de cave di Champagne. Ci sono pochi di uomini in Champagne dotati di intelletto ad alta definizione, attenzione al dettaglio e nerbo saldo al pari di Lécaillon. Durante i vent’anni del suo mandato ha promosso iniziative coraggiose nel vigneto dei Rouzaud, conducendo in regime biologico quasi tutta la superficie di proprietà, ovvero 240 ettari distribuiti solo in comuni altamente classificati. Non solo, su un terzo delle vigne di famiglia si adoperano trattamenti biodinamici e da qualche anno gli agronomi del gruppo possono contare su un proprio vivaio di uve e di portainnesti da utilizzare per piantare nuove vigne o per rimpiazzare le fallanze di quelle esistenti. E non è finita, perché in cantina da ormai cinque stagioni le fermentazioni e le rifermentazioni vengono svolte con lieviti selezionati solo sul vasto patrimonio viticolo aziendale (ceppi di Saccharomyces cerevisiae “Roederer 1/2/3”).
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Con più di 400 singole vinificazioni suddivise in 450 contenitori (di acciaio e di legno), Jean Baptiste Lécaillon non miscela, ma crea; non assembla ma combina, intreccia. La sua opera ha quasi a che fare con la scrittura di uno spartito musicale: le note devono condurre a una sintonia elementi in apparenza distanti, a una raffinata armonia di suoni, a una melodia che evoca profondità e grazia, complessità e frivolezza.
Ad eccezione della prima Cuvée della gamma (l’affidabilissimo Brut Premier), gli altri sei Champagne firmati Roederer vengono concepiti a partire da uve di proprietà e con un livello di precisione senza eguali. Precisione, personalità e godibilità che mettono Cristal 2009 tra i miei Champagne preferiti di quel millesimo caldo, precoce e sottovalutato. Sottovalutato laddove pur essendo lontano dagli esiti delle più grandi annate champenoise, ha regalato vini di solare estroflessione, ma affatto unidimensionali (di molto superiori, ad esempio, ai deludenti 2005).
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Certo, i Cristal più buoni che io abbia mai bevuto giocano oggi un altro campionato nel mio cuore (1996 e 1988; 1989 e 1990), eppure la vinosità dell’approccio, la cremosità del sorso e l’equilibrio complessivo del 2009 (che per tale ragione è stato commercializzato prima del più arcigno 2008, scompaginando l’uscita cronologica dei millesimi) rappresentano a mio parere l’archetipo più ortodosso dello stile Cristal. Per elaborarlo sono state intercettate 35 parcelle ben posizionate e ormai mature (30 anni di media) di Pinot Noir e Chardonnay (rispettivamente 60% e 40%), disciplinate nelle rese (che non superano mai il chilo e mezzo per pianta) e coltivate in un ristretto ventaglio di comuni di alto profilo tra la Grande Vallée de la Marne, la Côte des Blancs e la Montagne de Reims. Il protocollo di vinificazione e maturazione ha previsto l’utilizzo di botti in legno (per un quarto del totale) e di vasche in acciaio; la fermentazione malolattica è stata evitata (una strategia cara a Roederer), la sosta sur lattes è durata sei anni e dopo la sboccatura il dosaggio zuccherino (miscelato a vecchi vini conservati in botte) non ha superato gli otto grammi/litro (una quantità più bassa del solito).
Louis Roederer è un nome così importante a Reims che nel 1948 il governo cittadino gli dedicò il viale più strategico della città, quel Boulevard Louis Roederer che dal centro storico conduce alla stazione dei treni e alle Hautes Promenades, il parco più bello di Champagne, sosta ideale per una passeggiata e una merenda. Ed è così goloso, Cristal 2009, che potrebbe perfino piegarsi ad accompagnare un frugale déjeuner sur l’herbe, a patto di avere con sé un frigorifero (10 gradi è la temperatura di servizio ideale) e i giusti calici (Zalto Bordeaux sono i miei preferiti).
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Cristal 2009, l’undicesima cuvée prestige firmata Lécaillon, è uno Champagne per tutti i palati, senza soluzione di continuità. Generoso eppur privo di pesantezza, immediato quanto basta per evitare la banalità, saporito a sufficienza per lasciare spazio alle minuzie, vivo quel che serve per resistere all’aria e alla temperatura che sale. Sale (intendo il minerale) che via via si prende la scena, rendendo deliziosa la beva e mettendo la classicità (senza tempo) al servizio del piacere più rassicurante.
Tutte le cuvée prestige (o cuvée spéciale) di Champagne non sono disciplinate da alcuna normativa, ma semmai alimentate dall’ego di chi le elabora.
Si tratta di vini costosi, imbottigliati in flaconi diversi dal solito, impreziositi da habillage assaicurato (quando non eccentrico), confezionati in modo lussuoso (quando non pacchiano) e battezzati con nomi spesso altisonanti. Se per molti anni erano prerogativa solo delle grandi case, oggi pressoché tutti i produttori si vantano della loro referenza di alta gamma, il cui obiettivo è – o dovrebbe essere – quello di proporre la quintessenza del proprio lavoro.
Esistono Champagne di prestigio a tiratura industriale e le rarità per i grandi amatori; ve ne sono di monovarietali oppure frutto di più uve miscelate; alcuni sono assemblaggi di territori pregiati e altri invece valorizzano le peculiarità di un singolo vigneto; molti esibiscono il millesimo e altri no; taluni sono frutto di sboccature tardive da vinothèque e altri seguono un affinamento più consueto.
La letteratura indica Cristal come la prima cuvée prestige di Champagne (1876), benché le prime quaranta edizioni furono come detto riservate al casato dei Romanov. A seguire non si potrà tacere Dom Pérignon, oggi marchio a sé stante, ma fino al 1999 cuvée prestige di Moët & Chandon: fu ideato nel 1921 e commercializzato nel 1936.
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Eppoi Clos des Goisses dei Philipponnat prodotto nel 1951; Comtes de Champagne di Tattinger l’anno successivo; Fleur de Passion della Dielbot-Vallois nel 1953; René Lalou di Mumm e Dom Ruinart dell’omonimo négoce nel 1959. Nel 1962 nacque La Grande Dame di Veuve Cliquot (venduta 10 anni dopo), dopo due anni la Cuvée Nicolas François della Billecart Salmon e Belle Époque di Perrier-Jouët; nel 1968 fu la volta della Comtesse Marie de France di Paul Bara, la vendemmia successiva toccò alla Vieilles Vignes Française di Bollinger e al Saint Vincent di Legras. È del 1975 l’esordio del Sir Winston Churchill di Pol Roger (in commercio dalla primavera del 1984), del 1979 quello della Cuvée Louise di Pommery e del Clos du Mesnil di Krug; del 1983 il primo Blanc des Millenaires di Charles Heidsieck e del 1989 la prima edizione della Cuvée Louis dei fratelli Tarlant. Bisogna invece attendere la straordinaria vendemmia del 1990 perché veda la luce il Nec Plus Ultra di Bruno Paillard e quella altrettanto memorabile del 1995 per dare il benvenuto alla Louis XV di De Venoge. E continua continua fino a perdersi nella labirintica nomenclatura di genere.
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Si contano Champagne di mestiere e di maniera, e Champagne di talento e di stile. Cristal 2009 appartiene alla seconda categoria, la più rara. Versione spalancata in direzione di un’estate senza nuvole, da bere per godersi il piacere del momento più che per sfoggiare la competenza del guru; e nemmeno per dimenticare i centottanta euro sborsati per portarlo a casa. E anzi, sarà prezioso ricordare che non sempre la grande annata è sinonimo di buon risultato e la piccola di cattivo. Potrei citare centinaia di esempi opposti al luogo comune: ovvero di millesimi sulla carta claudicanti e che misteriosamente lasciano il segno; e di enormi aspettative andate in fumo alla prova dei fatti.
Allora buon compleanno mia adorata Spuzzolina: ovunque batterà il tuo cuore imparerai che la vita è un’avventura, e che una bottiglia di ottimo Champagne può di tanto in tanto scandirne il tempo e innaffiarne il cammino. Ti voglio bene.
Francesco Falcone
Degustatore, divulgatore e scrittore indipendente.
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