lunedì, Febbraio 24, 2025
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Borgogna in Rosso, alla prova del tempo. Prima parte. Di Duccio Armenio

E siamo arrivati alla seconda degustazione borgognona del gruppo, dopo quella dei bianchi quasi un annetto fa; con i “rossi” saremmo dovuti arrivare a inizio anno, ma sappiamo come è andata per fatti non imputabili alla nostra volontà. Ci siamo ripresi e, mentre abbiamo messo in cantiere un  terzo round (molto probabilmente a inizi 2021) abbiamo finalmente ripreso i calici in mano con questi gioielli d’Oltralpe, focalizzandoci sull’annata 2005 (e dintorni): per capirci, “quella del secolo” per tantissimi e sicuramente quella che ha decretato il rinnovato successo ma anche il decollo dei prezzi sui mercati inglesi e americani e, a ruota, in tutto il mondo (ahinoi) secondo una tendenza che non sembra volersi arrestare (di nuovo, ahinoi).

Siamo passati presto agli assaggi – come è poi consuetudine del gruppo – ma non prima di una brevissima introduzione d’insieme, anche ricordando l’ampia letteratura, soprattutto anglosassone da Jasper Morris a Clive Coates,  reperibile sui vini di Borgogna,. Fortunatamente da alcuni anni esistono anche eccellenti opere di autori nostrani che consentono di irrobustire grandemente le conoscenze sull’argomento, unitamente agli assaggi, ai seminari e (naturalmente) ai viaggi in loco. Ecco perché abbiamo tutti fatto più volte riferimento anche durante la serata, con ammirazione e gratitudine, ai preziosissimi lavori di Armando Castagno, Samuel Cogliati e Camillo Favaro (in ordine rigorosamente alfabetico) che vanno sicuramente messi in cantina al pari delle migliori bottiglie.

Ed ecco, in sintesi, cosa è venuto fuori dagli assaggi (almeno secondo me, ma anche sondando un po’ gli umori dei presenti).

LE GLORIE

Due Grands Cru in forma strepitosa: il Clos de Vougeot di Jacques Prieur 2005 e lo Charmes Chambertin 2006. Che dire? Perfetti. Naso nitido e giovanissimo (con buona pace dei tre lustri compiuti o quasi) con i corredi da manuale che ci si aspetta,  struttura integra e integrata  che se sviluppa all’assaggio un equilibrio dinamico ben modulato tra tannini e acidità, ex post regala una  persistenza da gran fondo. Se alla mano esperta del Domaine Prieur  taluni attribuiscono una gestione del legno  un po’ troppo generosa, più legata alla sostanza che non al dettaglio, questo vino risulta in realtà molto ben rifinito  (soprattutto nel corredo di piccole bacche rosse e nei cenni di spezie, con tracce di incenso e note ferrose) e tutt’altro che sacrificato alla possanza.  Sullo Charmes Chambertain di Naigeon – per taluni il miglior vino della serata – il plus viene anche dalla circostanza che, nonostante fosse sulla carta il meno blasonato del CG della zona,  è risultato un vino straordinariamente ricco ed elegante: note fresche di frutti rossi e neri croccanti arricchite di cenni balsamici rincorse da toni più scure di pepe e grafite, con ritorni di fiori secchi. Dove nasce  la bellezza? Per taluni, dall’intreccio dell’armonia con il contrasto. Beh, questo vino sembra dire ”ecco qua”. E, si licet, un bonus va attribuito alla mano di Pierre Naigeon, sicuramente moderna (il che non è una deminutio)  ma capace di tirare fuori dal cilindro questo vero asso pigliattutto.

CHE DELUSIONE…

Mano troppo pesante nel legno per l’Echezeaux del Domaine des Perdrix 2006. D’accordo, la stessa produzione rimarca i successi  d’Oltreoceano e  quindi ci si può aspettare – oltra alla polpa e materia propria della denominazione –  anche qualcos’altro. Tuttavia qui, oltre che al naso (che invero già faceva presagire un indizio) è proprio la bocca a chiudersi dopo un breve cenno fruttato, asciugandosi velocemente e facendo sparire quasi ogni ricordo se non quello dei contenitori di rovere.  Ma la delusione più cocente è il Grands Eschezeaux 2006 di Domaine Gros Frere et Soeur : al naso – non amplissimo  ma almeno foriero di qualche promessa  speziata e balsamica – è seguita una bocca che può riassumersi in una sola parola: verde, anzi verdissima. Sembrava un spremuta di raspo, tale da prosciugare le papille, poi lungamente avvolte nell’amaro.  Visti i prezzi che spuntano (per tacere del blasone), una performance davvero povera per queste bottiglie, specie per la seconda i cui vini ni hanno sempre dato soddisfazione. Siamo stati sfortunati, non troviamo altre spiegazioni.

LA BANDA DEGLI ONESTI

Avuta presente la fascia di appartenenza e i costi da affrontare, non ha sfigurato il terzetto composto dalle tre bottiglie che potevano essere pronosticate, all’inizio, come quelle di “alleggerimento”. Lo Chambolle Musigny village 2005 di Hudellot Noellat si è rivelato piuttosto semplice, ma non banale e con una buona tenuta alla prova del tempo. Più prestante lo Chambolle Musigny Les Babilleres 2005 di De Montille; la parcella – che,  dalle informazioni raccolte, non sarebbe più prodotta autonomamente dal celebre domaine  (forse ceduta?) –  è adagiata lungo la D974 e non è annoverata tra i lieu dit di maggior pregio. Eppure il vino fa proprio una bella figura: è ben espresso, soprattutto nella componente fruttata e floreale, disponibilissimo e morbido ma senza cedimenti, ma soprattutto porta con molta grazia i suoi 15 anni che, alla cieca, nessuno gli avrebbe dato. Gli ha fatto da contraltare il più corposo Pommard 1er Cru Les Pezerolles 2005 dello Chateau de Puligny Montrachet (all’epoca sempre in mano ai De Montille) un po’ meno definito e più maturo nell’evoluzione, ma ben in piedi e decisamente “gastronomico” , con un tannino ancora in grado di dire la sua sui robusti piatti di carne della tradizione culinaria borgognona.

ALL’ALTEZZA DELLE ASPETTATIVE (E ANCHE QUALCOSA IN PIU’)

Non per caso sono Premiers Cru: è forse il commento più scontato, ma anche quello più diretto e veritiero. 

Saporito, sostanzioso, fruttato come ci si aspetta ma anche ferroso:  è il Nuits Saint Georges 1er Cru Clos des Grandes Vignes Monopole 2005 di Domaine de Montille. Viene da una parcella al di quale della D974 (unica eccezione, qui); non è certo un vino cerebrale ma, semplicemente, da godere.  Buono buono buono, senza se e senza ma.

Lo Chambolle Musigny 1 er Cru Les Sentiers Vielles Vignes  di Sigaut non si smentisce: la parcella che si porta appresso la singolare fama di “Bonnes-Mares dei poveri”, come riporta il documentatissimo Armando Castagno nel suo imperdibile volume sulle vigne della Cote d’Or. Messa così, sembra una reputazione ambivalente (dispregiativa o elogiativa?) ma l’assaggio di questo Vielles Vignes fa piazza pulita dei dubbi e  fa propendere senza dubbio per i complimenti: è un vino dal carattere deciso e ricco, a tratti scuro (“sente” il confine con Moery Saint Denis), quasi imperioso, che colpisce e si fa ricordare. Pesa la mano del produttore, che gode di ottima reputazione.

Infine, il  Gevrey Chambertin 1er Cru Les Cazettiers 2007 di  Pierre Naigeon. Il vino –  l’unico proveniente dal millesimo 2007 tra quelli in assaggio, forse il meno prestante sulla carta – tiene fede alla  alte aspettative che fa ingenerare: attaccato al mitico Clos St. Jacques (che, lo ricordiamo, è per molti un Grand Cru in pectore al cui confronto secondo autorevole letteratura,  il nostro perderebbe un po’ in definizione)  si mostra deciso e austero, miscelando speziature, frutta e balsamicità. In bocca è sorretto da un tannino dritto e abbondante, ma a grana fine, capaci di allungarne durata e ricordi.  Una vino che ha grinta da vendere per tanti  anni a venire.

I DUE INTRUSI (ESTEMPORANEI)

Fuori dal tema della serata, due intrusi italiani con performances opposte. Sassicaia 2010 si è purtroppo rivelato affetto da una pesante anomalia (all’inizio in modo molto sottile, poi via via crescente) declinata in toni di cerotto, sinonimi di un carattere brett, e una chiusura quasi perentoria in bocca; al contrario, bellissimo il Barolo Cascina Fontana 2016 che, a volergli fare un solo elogio – ma che li racchiude tutti – non si sbaglia: è un Barolo  “neoclassico” a tutti gli effetti e, come tale, va aspettato (ma promette davvero bene: ci vuole un po’ di pazienza).

Duccio Armenio

Sommelierdellasera

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