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CIRÒ-VAGANDO: UN GIOCO DI LUCI E OMBRE E LA BELLEZZA NASCOSTA CHE NON TI ASPETTI. MARCO CURZI

La Calabria è una regione piena di contraddizioni: bella ma aspra, piena di calore, ma anche di tante storture.

D’altronde, l’ombra è tanto più marcata quanto più grande e intensa è la luce.

E di questi chiaro-scuri sembra vivere anche il Gaglioppo, vitigno principe della costa crotonese, sia nel calice, dove si mostra trasparente, luminoso e affascinante all’occhio, ma ostinatamente duro e scontroso in bocca, che all’interno della sua lunga storia, del quale un piccolo resoconto è quantomeno necessario.

Il Gaglioppo sbarca nel VII Secolo a Cirò, allora chiamata Krimisa, e da subito diventa protagonista della viticoltura locale, fino a diventare addirittura il vino ufficiale delle Olimpiadi!

La caduta dell’Impero Romano coincide con quella della viticoltura locale, che risorge solo nella prima metà del ‘900 grazie agli interventi dello Stato, che prima concede ai reduci di guerre le “cote”, appezzamenti di circa 1ha, e poi attua negli anni ’40 una riforma agraria che agevola lo spostamento dell’agricoltura dalle pianure agiacenti il mare alle colline soprastanti.

I frutti di queste decisioni vengono raccolti nella seconda metà del secolo, con la creazione della DOC Cirò nel 1969, e il successo commerciale dei successivi 3 decenni, ottenuto anche grazie alle scelte di molti viticoltori di “smorzare” le durezze tipiche del Gaglioppo, tagliandolo con vitigni internazionali e facendo maturare i vini in legni piccoli.

Non mancano certo le critiche a questo trend, tra le quali quelle assai dure del grande Mario Soldati, che durante il suo peregrinaggio enogastronomico per lo stivale nel 1975, raccontato all’interno dell’iconico libro “Vino al vino”, si preparò per il viaggio a Cirò segnandosi in rosso sulla sua agenda i nomi di tutti i viticoltori locali, in modo da evitarli come la peste, a causa delle loro scelte commerciali, in antitesi con la sua visione “purista” del vino, lontana da ogni logica economica.

La stessa visione verrà poi mutuata 35 anni dopo da uno sparuto gruppo di vignaioli cirotani che, in aperta protesta verso la modifica del disciplinare della DOC Cirò nel 2010, con la quale si abbassava la % minima consentita di Gaglioppo dal 95% all’80%, fondò un movimento di vera e propria resistenza (p)artigiana, che verrà poi denominata “Cirò Revolution”.

Una rivoluzione costruita nel nome di un vino biologico, di basse rese, della valorizzazione dello storico alberello cirotano, del non interventismo in cantina, lontano dall’abuso della barrique, da chiarifiche spinte e lieviti selezionati.

Una rivoluzione che, in parte, ha già avuto i suoi risultati: oltre alla calda accoglienza di critica e appassionati, ha infatti stimolato la richiesta dell’ottenimento della prima DOCG regionale; manca infatti solo la ratifica europea alla nascita della Cirò Classico Riserva DOCG, nata con l’intento di valorizzare l’utilizzo del Gaglioppo, dell’alberello e delle sue basse rese, dei terroir più vocati e dell’affinamento in bottiglia.

Una rivoluzione costruita da uomini e donne: Francesco de Franco, Cataldo Calabretta, Sergio Arcuri, i fratelli Scilanga di Cote di Franze, Margherita e Mariangela Parrilla di Tenuta del Conte. Uomini e donne che coltivano una terra aspra, fatta di argilla compatta, resa ancora più dura da estati aride e siccitose, mitigate solo parzialmente dai forti venti di tramontana e scirocco.

Semplificando la lettura dell’enografia locale, possiamo dire che le pianure a ridosso dello Jonio partoriscono soprattutto bianchi da Greco bianco interessanti per la loro sapidità, e rosati da Gaglioppo carichi, “cerasuoleggianti”; dei rossi relativi insomma, lontani dalle morbidezze e dalle soavità provenzali o salentine.

E in collina? Bacchus amat colles, si dice spesso. E, nonostante l’amore per le contraddizioni, nemmeno Cirò osa smentire questo detto. Infatti, dalle vigne poste nei leggeri declivi di Cirò Marina e Cirò Superiore, nascono i rossi più austeri e longevi, profondi e caratteristici della denominazione.

Alcune delle vigne più caratteristiche di queste zone sono state tra l’altro oggetto di uno studio di zonazione, iniziato nel 2019 da 9 aziende vitivinicole locali, con l’obiettivo di isolare le caratteristiche uniche di determinati toponimi. Ancora non sono ben noti i risultati definitivi di questo studio, ma da alcuni articoli di giornalisti del settore, pare che emergano bene le differenze geologiche, con un frutto più presente sulle terre rosse a nord, ed una maggiore austerità proveniente dalle colline a sud, vicino al torrente Lipuda.

Ma come si traducono tutte queste cose effettivamente all’interno del calice? Abbiamo provato a dare una risposta a questo quesito durante una delle nostre serate, che ha visto susseguirsi 1 Cirò Rosè “di benvenuto”, 4 Cirò Superiore e 5 Cirò Riserva:

–              Cirò Rosato 2020 – ‘A vita: Ben 4 anni sulle spalle per questo rosè che non presenta cenni di cedimento, con una buona dotazione alcolica sostenuta da un leggero velo tannico, ma soprattutto da un’ottima acidità (coadiuvata anche da una acetica ben dosata), che trascina a lungo sul palato un sentore di agrume dolce, come il mandarino. Aereo.

–              Cirò Classico Superiore 2022- Scala: Un 20% Magliocco Nero si traduce nel calice in un rosso carminio abbastanza compatto e fitto, smorzando le trasparenze e le durezze del restante 80% di Gaglioppo. Naso un po’ timido, bocca che esprime un frutto scuro e dolce come la prugna e ciliegia ferrovia, accompagnata da una leggera nota ferrosa. Buon primo approccio a Cirò.

–              Rosso Calabria IGT 2022 – ‘A Vita: Lo stile di Francesco de Franco, apprezzato già nel rosè, torna con precisione nel suo rosso (quest’anno fuori dalla DOC), con un’onda di freschezza ad abbracciare l’agrume amaro, il fiore rosso appassito e una nota di liquirizia. L’eleganza del Cirò.

–              Cirò Classico Superiore 2022 – Vumbaca: Azienda giovane che sin da subito ha prodotto delle espressioni centratissime di Gaglioppo in purezza da alberello, come questa: arancia rossa ed erbe mediterranee in primo piano; tannino potente, ma che ben dialoga con una succosa acidità agrumata. Must have.

–              Cirò Classico Superiore 2022 – l’Arciglione: Forse penalizzato al confronto con il precedente campione, il rosso del buon Cataldo Calabretta è sembrato un po’ peccare di dettaglio e lunghezza, nonostante un buon impianto fruttato e l’ottima bevibilità. Bevuto più volte in precedenza, sono persuaso che si trattasse di una bottiglia poco performante. Rimandato a Settembre (quindi da riprovare subito!)

–              Cirò Classico Superiore Riserva “Duca San felice” 2018 – Librandi: Apriamo le danze delle Riserve con quella dell’azienda più grande e storica della denominazione. Il risultato è complessivamente piacevole, ma un po’ distante da ciò che ci aspetteremmo da una Riserva di Gaglioppo con 6 anni sulle spalle. Frutta rossa matura e un vegetale non ancora terziarizzato (più fresco che non balsamico), bocca abbastanza sottile rispetto alle attese. Buon rapporto qualità/prezzo, ma non entusiasma.

–              Cirò Classico Superiore Riserva 2018 – Scala: Il cambio di passo, con buona pace di Librandi, è oggettivo.  Al naso richiama la macchia mediterranea, le spezie dolci, accenti di frutta rossa in gelatina e sbuffi iodati. Il sorso è “caloroso” ed avvolgente in apertura, ma presto si rivela in tutta la sua potenza tannica, corroborata da ottima freschezza, che porta ad una chiusura giustamente balsamica e persistente. Riserva? No, titolarissimo!

–              Cirò Classico Superiore Riserva 2018 – L’Arciglione: Contrariamente al “fratello minore” assaggiato in precedenza, la Riserva di Calabretta ci mostra ciò di cui è capace uno dei padri della “Cirò Revolution”. Intense ed eleganti note di prugna e fiori rossi, poi liquirizia e accenni speziati. L’attacco di bocca risulta possente ma affascinante, con un palato costantemente stimolato dal tannino vigoroso e da una freschezza salina. Lunghissimo il finale agrumato. Calabretta, beato chi l’aspetta!

In ultima analisi, abbiamo apprezzato le caratteristiche che fanno del Cirò da Gaglioppo un vino sicuramente non banale, e di grande personalità: la luminosa trasparenza, la mediterraneità, ma soprattutto una possente spina dorsale fresco-sapida, che da una parte permette in una salivazione prontamente contrastata da un tannino imponente, e dall’altra strizza l’occhio ai lunghi affinamenti in bottiglia. Non  ci credete? Provate la Riserva 2014 di ‘A Vita, tutt’oggi un infante!

Marco Curzi

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