lunedì, Febbraio 24, 2025
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Il cubo di Rubik e la grande Sicilia. Di Elena Sarzi Sartori

Ci sono momenti in cui viaggiare in auto mi dà una certa soddisfazione.Mi riferisco ad istanti fortunati durante i quali tutto sembra incastrarsi perfettamente, proprio come quando si giunge alla soluzione del cubo di Rubik: la luce è quella color oro di un tardo pomeriggio invernale siciliano; i tuoi compagni di viaggio meritano il tempo che stai dedicando loro e tu sei entusiasta che a loro volta te ne concedano; il silenzio regna nell’abitacolo non per mancanza di argomenti, ma per totale rapimento per il paesaggio circostante, un paesaggio che vi ha colto di sorpresa e che si rivela in tutto il suo calore e nella sua autenticità agricola.

Proprio così, perché il segnale GPS stavolta è troppo debole e il navigatore non vi dirà dove andare. Stavolta, dovendo fare a meno di moderne bussole, siete capitati su una strada secondaria nella più profonda Val di Noto mentre tentavate di raggiungere Ragusa.
E’ così che non posso far altro che accantonare per qualche ora la teatralità e complessità delle geometrie delle chiese e palazzi del tardo barocco siciliano e lasciarmi avvolgere dall’architettura altrettanto articolata della campagna che mi circonda.
Ritrovo, grazie alla luce del tramonto, lo stesso colore tra il dorato e il rosato delle pietre degli edifici di Siracusa e Noto nei muretti a secco che delimitano pascoli, campi e proprietà: un reticolo di centinaia di chilometri di pietra su pietra incastrate meticolosamente l’una all’altra per delimitare i terreni e liberarli dalla roccia.

Scendo dall’auto e gli odori che avverto non sono solo quelli della macchia mediterranea, quel profumo così intenso non l’ho mai sentito, come non riesco a riconoscere quelle piante maestose e rigogliose che senza una disposizione precisa svettano a vista d’occhio.
Lo confondo per radice di liquirizia, ma sono certa di sbagliarmi.
Seduta su uno di quei muretti in pietra, un agricoltore che ho interrotto dal suo lavoro soddisfa la mia curiosità: piante di carrubo, alcuni possono arrivare anche a 500 anni di età. Mi spiega, inoltre, che più del 70% della produzione nazionale arriva da qui e che dai semi e dalla polpa delle carrube si ottiene una farina che è destinata ai più svariati usi, dai farmaci alla preparazione di dolci e gelati. (Prendo nota, il gelato non mancherò di assaggiarlo).

Poi gli chiedo indicazioni sulla strada, non pienamente convinta di volermi alzare da quel muretto, ma la luce sta cambiando e la temperatura sta scendendo. È tempo di muoversi.

A cena non posso far altro che sentire che veste liquida ha questa Val di Noto che mi si è appena rivelata e scelgo Marabino, un’azienda biodinamica del pachinese vocata ai vitigni autoctoni della zona.
Il Muscatedda mi intriga subito per il suo colore giallo paglierino deciso: sembra proprio che a questo moscato di Noto secco non manchi il colore del sole. I profumi richiamano la ginestra, la zagara, la mandorla amara e ricordano la mela gialla cotta, cucinata al forno accompagnata da scorza di limone.
Rivela sentori salini che ritrovo con decisione al primo sorso accompagnati da una piacevole freschezza. Ha buon corpo, un attacco energico al palato e una chiusura leggermente amaricante.

A volte il mio cervello fa associazioni curiose e così mi viene in mente l’incontro tra il Mar Ionio e il Mar Mediterraneo.
E allora penso che prima o poi l’Isola delle Correnti la voglio proprio vedere.

Elena

Sommelierdellasera

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